Educativa Estiva

Uhm…

Lo so, un racconto non dovrebbe mai iniziare con un uhm, è una cosa che risulta fuori dagli schemi canonici di ogni corso di scrittura creativa e molti puristi della scrittura perfetta, sicuramente, storceranno il naso. Ma io di mestiere non faccio lo scrittore, bensì l’educatore e, visto che “la forma” devo rispettarla ogni volta io scriva una relazione, compili un documento o aiuto nella didattica un alunno, in questo caso mi tolgo lo sfizio di cominciare con una bella interiezione. La forma è importante, ma cazzarola, alle volte può essere anche stravolta, no?

Bando alle ciance: mi chiamo Gianni, faccio l’educatore da moltissimi anni e qualcuno già conosce vicissitudini che ho deciso di narrare in alcuni racconti. Direi di non perdere tempo con le presentazioni e concentrarci, invece, su ciò che vorrei raccontarvi.

Ho iniziato volutamente con una interiezione il racconto, perché mi piacerebbe, questa volta, potervi esporre cosa avviene a chi svolge la mia professione, durante la stagione più calda dell’anno, quella che dovrebbe, in teoria, traghettare l’affaticato operatore sociale alle agognate ferie, dopo le fatiche di un anno di lavoro. Credetemi, un bel uhm è proprio quello che ci vuole per iniziare a scrivere.

Anno lavorativo che proprio come un anno accademico, per la maggior parte di noi, impegnati nell’educativa scolastica, inizia a settembre con la data di apertura delle scuole e si conclude con la prima settimana di giugno o, al più tardi, se i ragazzi seguiti sono chiamati alla prova d’esame di licenza media o di maturità, con la fine di giugno.

So che starete pensando, arrivati a questo punto, che con l’avvento del sesto mese dell’anno e la chiusura dei plessi scolastici, un esercito di colleghe e colleghi, finalmente, potranno recarsi da soli o con le famiglie in ameni luoghi di villeggiatura, a fare fresche passeggiate in montagna oppure restarsene tranquilli in città.

Sì, parlando un po’in giro è un’immagine che hanno in molti nella propria testa:

  • “Ma dai che fai l’educatore e come gli insegnanti, finita la scuola, sei in vacanza per minimo due mesi retribuiti. Beati voi, che pacchia!”

Giuro che, quando mi dicono questa cosa, mi sale un’insensata voglia di rispondere in maniera poco educativa, facendo cancellare definitivamente questa falsa immagine che molti hanno nei confronti di chi lavora nel mondo della scuola.

A parte che nemmeno gli insegnanti fanno due mesi di vacanza, visto che hanno la programmazione dell’anno successivo da portare a termine, riunioni, consigli e devono rimanere a disposizione. L’unica differenza, rispetto agli educatori, è quella di continuare ad essere pagati nonostante l’anno scolastico sia concluso.

Loro sì, sono dipendenti statali o comunque assunti da scuole paritarie o private. Scuola aperta o chiusa, vengono retribuiti. Noi no.

Ok, immagino che ora starete pensando: ma come, voi non siete assunti?

Sì, certo, ma non dalla scuola come il corpo docenti: siamo assunti da cooperative di cui alcuni di noi sono soci, ma la retribuzione delle nostre ore passa attraverso la richiesta che, a inizio anno scolastico, le scuole di ogni grado richiedono a Comuni, Province e Regioni, di erogazione di contributi per l’impiego di personale atto all’affiancamento di alunni in difficoltà o con disabilità. Richiesta che spesso non viene concessa subito alle scuole, facendo slittare spesso l’inizio dell’intervento anche di parecchi mesi e così anche il conseguente impiego di molti di noi. Una volta ricevuta risposta positiva ed erogati i fondi per le ore richieste (a volte risultano purtroppo meno), le scuole chiamano le cooperative di loro gradimento e, infine, le coop mandano in servizio noi.

Scusate questo lungo preambolo, ma era necessario per far comprendere il funzionamento del nostro lavoro e arrivare al punto fatidico: con giugno, il lavoro dell’educatore scolastico si ferma e, di conseguenza, si fermano anche i fondi. In poche parole, non vengono erogati soldi per coprire la così detta pausa estiva: la borsa rimane chiusa. Ergo niente soldini per la nostra categoria.

Ovviamente, non fermandosi i pagamenti dei mutui, degli affitti, delle bollette e le spese varie, come tutti, anche noi dobbiamo continuare a lavorare e prepararci a vestire i panni e il ruolo (se ci trovassimo in una scena di un film, ora vi sarebbe une bel rullo di tamburi) “dell’educatore-animatore estivo”.

Le cooperative iniziano a chiedere, durante i mesi precedenti la fine della scuola, la disponibilità a emigrare nei vari servizi attivi della stagione. Servizi che non sempre riescono a coprire il monte orario di ognuno di noi. Siamo tanti e alle volte i servizi attivi sono pochi o richiedono un numero nettamente inferiore di educatori, rispetto a quello impiegato nella scolastica. Alcuni lavorano molte più ore durante l’anno, per accantonare nella famigerata banca ore, un sufficiente credito per potersi fermare durante questo periodo. Altri fermano il contratto o si fanno assumere solo per la copertura dell’anno scolastico: un perenne tempo determinato, in parole povere.

Molti di noi iniziano immediatamente a sostituire o prestare servizi nei centri diurni. Altri vanno a lavorare, ove possibile, nei servizi di assistenza domiciliare o di custodia sociale. Infine, altri ancora vanno a lavorare nei centri estivi infanzia, primaria, secondario primo livello, offerti da Comuni o oratori, oppure danno disponibilità a partire con i servizi di tempo libero per le vacanze al mare o in montagna, con bambini, disabili adulti o anziani.

Ebbene, questo è quello che accade a molti di noi durante la stagione estiva.

Ed è quello che, da quando ho iniziato a lavorare nel sociale, accade anche a me.

Voglio essere sincero, a me piace. Non tutte le colleghe e colleghi amano riciclarsi all’interno di un centro estivo o partire per una vacanza di lavoro di due settimane (praticamente lavorando notte e giorno) lontano da casa. È chiaro che è faticoso ed è altrettanto chiaro che non potrà e non sarà semplice calarsi in questi servizi, durante tutta la carriera lavorativa e il passare degli anni. Ed è comprensibile e auspicabile che anche il nostro operare e la nostra professionalità debbano, con la chiusura delle scuole, essere ricollocate e protette, esattamente per i motivi che ho elencato precedentemente. Detto ciò, desidero raccontare perché ho amato lavorare in questi servizi e perché in alcuni ci lavoro ancora.

Vacanze lavoro estive, colonie, soggiorni sollievo.

I viaggi vacanza del servizio tempo libero, aperte a utenza con disabilità lievi ma anche medio gravi, sono e restano un servizio che, in due settimane, ti permette di coprire quasi interamente il monte ore di un mese. Sono quelle che, in passato, per alcuni anni, ho svolto regolarmente anche io.

Non vengono retribuite tutte le 24 ore, ma, solitamente, una dozzina al giorno.  Sono, chiaramente, servizi molto faticosi, proprio perché si vive a stretto contatto con gli utenti, con cui condividi la stanza, di solito due/tre utenti, e il vissuto della lunga giornata.

Le vacanze danno la possibilità di scegliere turni al mare o in montagna, permettendo così a utenti e famiglie, ma anche agli operatori, di poter selezionare il luogo più adeguato ai propri desideri e alle proprie preferenze.

Per scelta, io ho sempre preferito la montagna, semplicemente perché più fresca e perché dava un senso di maggiore tranquillità: stesso pensiero di alcuni utenti e dei lori famigliari o tutori, anche se devo ammettere che i numeri più alti di utenti li ha sempre avuti il mare.

Si parte per i luoghi prescelti e per due settimane, si vive e si condivide tutto: fatiche, divertimenti, malumori, pranzi, cene, notti, sveglie, emozioni, musica, balli, giochi, passeggiate, bagni, frustrazioni, caldo, freddo, russate, odori, rumori e tanto, tanto altro. Un bagaglio di umanità altamente concentrato, difficilmente rintracciabile, se non in pochi altri contesti.

Generalmente, rientrando a casa dopo la fine della vacanza, i rumori e il vissuto di quelle giornate viene avvertito ancora per qualche giorno, così come la stanchezza, anche se tutto, magari, è stato piacevole.

Un punto importante per il successo di una vacanza lavoro di questo tipo, ma forse è anche banale sottolinearlo perché è un punto prezioso in qualunque contesto, lo fa l’equipe di colleghi con la quale ci si trova a lavorare. Se la squadra si amalgama subito, se condivide, se lavora di concerto, se riesce a divertirsi con gli utenti, il tutto diviene più semplice e meno pesante. Non sempre si va tutti d’accordo e si segue la stessa linea, ma a me è sempre andata bene, trovando colleghe e colleghi bravissimi a mettersi in gioco anche sfruttando i propri talenti e a sostenersi.

Davvero, molti di noi legano moltissimo in quelle due settimane e, pur non perdendo mai di vista il benessere degli utenti, nascono grandissime amicizie e anche storie d’amore, sì, sì, non facciamo finta che non sia così, è successo, eccome se è successo.

Così come sono nate anche amicizie importanti fra utenti e, anche in questo caso, qualche amore.

I centri estivi

Sono contesti dove una stragrande maggioranza di noi si trova a lavorare finito l’anno scolastico.

Spesso, ove possibile, all’interno dello stesso plesso in cui si è lavorato con una buona parte dei bambini e ragazzi nel corso dell’anno, creando un filo di continuità.

Questi centri o campus si svolgono a favore e vantaggio di un target di età che va dall’infanzia fino alle medie, all’interno di scuole materne, primarie o secondarie o, in altri casi, dentro oratori. Qui la nostra figura professionale viene chiamata ad affiancare il Don di riferimento e gli animatori del centro estivo, ragazzi poco più grandi di quelli a cui si eroga il servizio e, in alcuni casi, a monitorare e coordinare più gli animatori che i frequentanti del campus, ma questa è un’altra storia.

I centri estivi hanno lo scopo di far passare giornate spensierate, attraverso una buona programmazione e attività mirate ai bambini e far tirare il fiato, prima delle agognate ferie a cui le famiglie dei partecipanti arriveranno e permettere loro di proseguire nelle attività lavorative, alleggerendo anche i nonni, figure preziose. Non avete idea di quanto ci santifichino quando le nostre attività cominciano, giuro, credo che qualcuno abbia in casa degli altarini con i santi protettori degli educatori o addirittura con la nostra effige.

Sono attività programmate da squadre di coordinatori già alla chiusura del centro estivo dell’anno precedente e, dietro le quinte, vi è un lavoro certosino per arrivare preparati e per aggiudicarsi le eventuali gare d’appalto dei Comuni dove si terranno i campus.

Con i mesi di giugno luglio, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, queste scuole o plessi, diventano il nostro territorio.

I turni si distribuiscono tra le sette del mattino (dove vige il pre-scuola) e le diciotto (dove presente il post-scuola), su gruppi di bambini suddivisi per target di età e divisi fra due o più colleghi che si alternano e altri, preziosissimi, che affiancano bambini e ragazzi con disabilità.

Alla primaria si segue esattamente il programma stabilito fra attività manuali, giochi, balli, canti e tornei a squadre fra le varie classi, intervallati da momenti destrutturati di gioco (i più amati dai frequentanti) e una parte della giornata in cui i bambini possono eseguire i compiti delle vacanze.

All’infanzia è più o meno simile, a parte la mancanza dei compiti e con attività più adeguate all’età dei partecipanti.

Prima della pandemia di Covid, che ha cambiato molte abitudini e modalità di intervento in tutto il nostro lavoro, una parte importante nei centri estivi era rappresentata da gite, uscite in piscina o sul territorio, momenti fondamentali della programmazione che spesso agitavano i genitori e anche un po’ noi educatori. La preoccupazione principale era rappresentata dalla responsabilità di portare, fuori dal campus, gruppi numerosi di pargoli in centri acquatici pieni di gente, in parchi tematici o musei vari, sempre con un’attenzione massima a non perderne nessuno, a non dimenticare di applicare litri di creme solari protettive mischiati ad antizanzare e, in particolare con i più piccoli, agli innumerevoli momenti bagno o l’inevitabile triade: pipì addosso molto gettonata, cacca addosso fortunatamente meno gettonata e vomito (sul pullman) sempre in agguato, oppure alla tensione del non perdere ciabattine, zaini, costumi, braccioli nel momento del ritorno a casa.

Eh, care colleghe e colleghi, dite la verità, un po’d’ansia vi arriva solo leggendo il tutto, vero?

Ho raccontato la parte che a noi educatori impensierisce e stanca parecchio, ma questi momenti erano anche ricchi di allegria: mancano e speriamo di poter recuperare prossimamente.

Un’altra caratteristica sempre presente e fastidiosa nei centri estivi è il caldo: negli ultimi due anni accentuato anche dall’obbligo della mascherina chirurgica o FFP2!

Giornate e turni di lavoro che iniziano e finiscono con temperature torride, alla ricerca di un po’d’ombra e fresco (i più fortunati, in alcune classi, hanno l’aria condizionata) fino a quando l’immancabile bambino in solitaria o in gruppo viene a chiedere alle due del pomeriggio, con una temperatura più alta di quella percepita nel deserto del Sahara e un sole capace di sciogliere tutti i liquidi in corpo: “Maestro, giochiamo a pallone?”. L’unica risposta che si riesce a dare: “Lo vorrei tanto, ma ho un contratto con la squadra dell’FC Malamuk* e posso giocare solo con temperature decisamente più accettabili!”, con i bambini che ascoltano a bocca aperta, intuendo che hai una certa e sei un boomer e che è forse meglio lasciarti sotto un albero a sventagliare qualunque cosa possa portarti un po’di refrigerio in compagnia di zanzare tigre, rimandando la partita ad orari con temperature più basse. Chissà mai che ti venga un malore!

Per fortuna nei programmi dei campus vi sono di tanto in tanto i mitici giochi d’acqua.

Sì, la fatica è molta e, con il passare degli anni, si avverte sempre più. Eppure, ogni anno torno volentieri a vestire i panni dell’educatore/animatore estivo, preferendo, almeno nella seconda parte della stagione, lavorare con i piccoletti dell’infanzia, dopo aver passato un anno con i bambini della primaria, con i ragazzi delle medie e delle superiori, passando da lezioni con i primi rudimenti di matematica e di scrittura a lezioni di fisica, chimica e letteratura, per tuffarmi tra le canzoni dello Zecchino d’oro e i giochi dei bimbi. Devo ammettere che mi fa un gran bene e, in certi casi, nonostante i fatti narrati, rinvigorisce proprio. Il tutto grazie anche a un’equipe di colleghe e colleghi rodata già da qualche anno, con cui è sempre un piacere trovarsi a lavorare e, con l’ingresso di nuove figure, imparare sempre qualcosa di nuovo e importante, arricchendosi a vicenda.

Ecco, ho cercato di descrivere la tipica estate di un educatore e di un’educatrice, ma anche dei coordinatori dei servizi che, durante l’anno, si prodigano a organizzare vacanze e i campus.

Domattina primo turno, sveglia presto, occhiata al programma e pronti via come sempre, aspettando il momento di poter urlare: “Ferieeeee!” e godersi finalmente il meritato riposo, prima di rituffarsi in un altro anno accademico, ma con un po’di settimane con la famiglia, rigorosamente in infradito, fra tuffi, bibite ghiacciate, sdraiato sotto l’ombrellone a leggere tutto ciò che aggrada. Tanto abbronzato, dopo due mesi sotto il sole, lo sono già, grazie al centro estivo.

Buona estate colleghe e colleghi!

*FC Malamuk = Squadra partecipante al campionato di calcio della Groenlandia che si svolge nel giro di una settimana nella metà di agosto e con temperature decisamente umane in quel periodo, anche alle due del pomeriggio!

Rocco Carta

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