
Ci sono adolescenti che sembrano racchiusi in un bozzolo, stretti nelle proprie paure e nei propri silenzi.
Li osserviamo, a volte da lontano, sperando di poterli aiutare a schiudersi.
Ma la metamorfosi richiede tempo, fiducia e la pazienza di chi sa restare accanto anche quando non può fare altro che attendere...
Sono seduto nella sala d’attesa di un UONPIA, in attesa di un colloquio.
Attorno a me, silenzi che parlano.
Un’adolescente inquieta è seduta poco distante: le cuffie, troppo grandi per il suo viso minuto, coprono il mondo fuori. Gli occhi, incollati al cellulare, sembrano cercare rifugio in uno schermo che non restituisce calore.
Accanto a lei, un’altra ragazza si stringe alla madre, le gambe che non smettono di muoversi, come se la tensione interna cercasse una via di fuga.
Poco più in là, due ragazze ancora: una con lo sguardo duro, quasi di sfida; l’altra che cammina nervosamente avanti e indietro, prigioniera di pensieri che non trovano pace.
Nel tempo in cui resto nella stanza, vedo passare altre anime giovani, ognuna con il proprio dolore silenzioso, la propria ansia che trasuda anche dagli sguardi più fermi.
Dovrei essere abituato, o almeno preparato, a tutto questo.
Il mio lavoro mi porta ogni giorno a incontrare queste età sospese, a condividere spazi e parole con chi vive un presente fragile, in bilico.
Eppure, ogni volta, mi manca il fiato.
Sento il peso delle loro fatiche, la stanchezza dei loro respiri e, come adulto, come ex ragazzo che ha attraversato un’adolescenza inquieta e non semplice, mi sento, a tratti, abbattuto.
Ci si può formare, studiare, mettere passione, dedizione, tempo.
Si può tentare di tirarli fuori da quella nebbia di dolore e smarrimento, ma la verità è che non si è mai davvero pronti.
Non lo si è mai del tutto.
No, non era meglio quando eravamo giovani noi.
Allora mancavano figure capaci di accogliere, proteggere, ascoltare.
Non c’erano chiavi per aprire le porte di certe stanze buie, quelle in cui il dolore restava chiuso, inascoltato.
Oggi, forse, si prova ad accendere qualche luce in più.
Eppure la fatica resta la stessa: far emergere il dolore, dare voce al sommerso, rende più evidente, e più urgente, la richiesta d’aiuto.
La chiave è tutta qui.
Non esiste un “meglio” ai nostri tempi.
L’adolescenza è sempre stata un’età travolgente, piena di tempeste e di promesse.
Attraversarla è un atto di coraggio.
E lascia segni profondi, lo so bene.
Trovare la chiave non è facile.
Esiste, sì, e anche io ho imparato a cercarla, a volte a indicarla, ma la ricerca resta affannosa, eppure necessaria.
Perché trovare sé stessi, soprattutto in questa fase, è forse la sfida più grande di tutte.
Ed è nel qui e ora che bisogna agire.
Senza appelli, senza rimandi.
Fa male, ma è solo uscendo da quel bozzolo chiuso a doppia mandata che si può diventare farfalle, libere di volare.
E per chi osserva, per chi resta accanto a questi bozzoli fragili, non resta che vegliare.
Offrire percorsi, piccoli appigli, tanta, infinita, pazienza.
Nulla di più.
Nulla di più.
Rocco Carta

