
A Terezin, a quel tempo Cecoslovacchia, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne istituito un campo di concentramento dove intere famiglie di religione ebraica furono rinchiuse dai nazisti e dal volere del loro folle capo.
Solo per la colpa di essere nati!
Da quel luogo passarono quindicimila bambini, anche loro sfruttati per i lavori forzati, affamati, maltrattati e con la costante paura di essere uccisi o deportati nei campi di concentramento per quella che i nazisti chiamavano “Soluzione finale”
In quel campo, i ragazzi e i bambini, nonostante la fame, le malattie e le molte privazioni, sotto la guida di alcuni prigionieri, lasciarono tracce della loro creatività e voglia di vivere: disegni, racconti e poesie prima di essere quasi tutti deportati a gruppi nei ghetti della Polonia e direttamente nei campi di sterminio di Treblinka e Auschwitz.
Solo per la colpa di essere nati!
Scrissero fino a quando poterono farlo, su un loro settimanale, queste parole:
“Ci hanno strappati dal terreno fertile del lavoro, della gioia, della cultura che doveva nutrire la nostra gioventù. Lo fanno con un solo scopo: distruggerci non fisicamente, ma spiritualmente e moralmente. Otterranno il loro scopo? Mai! Privati delle nostre vecchie fonti di cultura, ne creeremo di nuove. Separati dalle nostre vecchie sorgenti di gioia, creeremo per noi una gioiosamente radiante vita nuova.”
Di tutti loro che cercarono una piccola parvenza di normalità, all’interno di un luogo brutale e sotto il giogo di uomini di malvagità assoluta, tornarono solamente in quindici, ma la loro testimonianza e i loro scritti rimangono come importante monito e memoria.
Solo per la colpa di essere nati!
A Milano, in Italia, negli stessi anni in cui si deportarono i bambini e i ragazzi nel campo di Terezin, altre persone e bambini appartenenti alla comunità ebraica, vivevano attraverso paure e enormi difficoltà, a causa delle leggi razziali volute da un altro dittatore e da suoi sodali fascisti, che presero spunto dalla pazzia dell’alleato dittatore nazista, in difesa di una falsa, presunta, superiorità della razza ariana.
Una bambina di nome Liliana viveva e affrontava quei tempi bui, sempre accanto al suo amato papà, pensando e sperando che quella follia e la guerra, prima o poi sarebbero finite.
Solo per la colpa di essere nati!
Ed è con suo padre che tentò di scappare, quando i nazisti arrivarono nel Nord Italia e la situazione si fece davvero pericolosa per loro. La vicina, neutrale Svizzera, poteva essere la Terra Promessa per loro e per molti altri. Purtroppo, non fu così.
Vennero traditi e respinti su suolo italiano, arrestati e infine deportati nei campi di sterminio di Birkenau-Auschwitz.
Sulla rampa di arrivo del treno (la famigerata e per sempre maledetta Judenrampe) venne divisa dalla forte mano protettiva dell’amato padre che non avrebbe rivisto mai più, trovandosi da sola in un luogo freddo e terribile, perdendo un nome e diventando un numero: 75190. Trasformata in qualcosa senza identità da umiliare e infine eliminare.
Si salvò, nonostante le atrocità, i dolori e gli stenti. Diventando testimone di quegli orrori insieme a molti altri superstiti.
Al Memoriale della Shoah di Milano, all’ingresso di esso, vi è un’enorme scritta:
“Indifferenza”
Quella che lei, nelle suo numerose testimonianze, ha raccontato di avere subito insieme a tanti altri in quegli anni, respinti, traditi, segnalati da altri uomini e donne, incapaci di mostrare solidarietà e pietà.
Dice Liliana Segre nel libro “La sola colpa di essere nati” – Liliana Segre e Gherardo Colombo editore Garzanti:
“Non abbiamo bisogno di eroi, serve però tenere sempre viva la capacità di vergognarsi per il male altrui, di non voltarsi dall’altra parte, di non accettare le ingiustizie.”
Solo per la colpa di essere nati!
A molti chilometri di distanza, negli stessi anni, ad Amsterdam in Olanda, giunge con la sua famiglia una bambina di nome Anna, scappando dalla Germania dopo l’ascesa al potere dei nazisti.
Dopo lo scoppio della guerra e la conseguente invasione tedesca di quella nazione, la sua famiglia aiutata da alcune persone “giuste”, si ritrovò a vivere nascosta in una piccola soffitta insieme a un’altra famiglia.
In quel luogo, cominciò a scrivere un diario, una testimonianza di quello che divenne la loro vita, le loro speranze, i loro sogni, le loro paure e gli accadimenti.
Scrisse Anna in quelle pagine:
“È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare.
Eppure, me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore. Semplicemente non posso fondare le mie speranze sulla confusione, sulla miseria e sulla morte. Vedo il mondo che si trasforma gradualmente in una terra inospitale; sento avvicinarsi il tuono che distruggerà anche noi; posso percepire le sofferenze di milioni di persone; ma, se guardo il cielo lassù, penso che tutto tornerà al suo posto, che anche questa crudeltà avrà fine e che ritorneranno la pace e la tranquillità.”
Il diario si ferma a una pagina precisa, quando l’inchiostro viene fermato dalla delazione e dalla denuncia, di qualche persona ignobile e la cattura delle due famiglie da parte dei nazisti che portò alla deportazione dell’intera famiglia nei campi di sterminio.
Tornerà solo il padre, che ritroverà il diario facendolo diventare una testimonianza di indiscusso valore.
Solo per la colpa di essere nati!
Molto più a Sud, nella splendida isola di Rodi, da secoli, viveva in pace una fiorente e numerosa comunità ebraica. A quel tempo, l’isola era sotto il governo italiano e fascista e i suoi abitanti erano considerati italiani.
In quel luogo viveva spensierato con la sua famiglia il piccolo Sami.
Anche lui come Liliana, venne colpito dalle leggi razziali emanate dal governo fascista, causandogli un primo enorme dolore: l’allontanamento dalla scuola.
Racconta Sami:
“Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo.”
Solo per la colpa di essere nati!
Anche a Rodi le restrizioni e le problematiche causate da quelle leggi infami, causarono stenti e varie problematiche, ma si tirava avanti nonostante le grandi sofferenze.
Anche in quell’isola dopo l’8 settembre 1943 arrivarono i nazisti.
La situazione divenne subito drammatica, e nel mese di luglio del 1944, attraverso un inganno, l’intera comunità ebraica dell’isola (2500 persone) venne deportata verso la Polonia.
Un interminabile viaggio, prima a bordo di un vecchio mercantile, sotto un caldo infernale e in condizioni disumane verso Atene e infine in uno di quei maledetti treni merci, stipati come bestie per giorni e giorni. Il tutto attraverso atroci sofferenze.
Solo per la colpa di essere nati!
Chi sopravvisse a quel terribile viaggio, arrivò nella stessa rampa in cui un cenno di un dito di un militare tedesco, voleva dire vita o camera a gas diretta.
Sami è con suo padre e sua sorella. La sua amata sorella più grande che dopo essere scesi dai vagoni, venne separata da loro, nonostante il tentativo del padre di non farsela strappare dalle mani e con i nazisti che lo massacrarono di botte.
Subito dopo non era più Sami, un ragazzino tredicenne, ma il numero di matricola tatuato sul braccio B7456. Un pezzo, un pezzo di una catena di montaggio diabolica, destinato a morire.
Questo il loro ingresso nel lager.
In poco tempo la numerosa comunità ebraica di Rodi venne sterminata. Tornarono trentuno uomini e centoventi donne. Sami tornò. Suo padre Giacobbe e sua sorella Lucia no.
Suo padre prima di morire, appresa la notizia della morte della figlia, gli disse di tenere duro, lui doveva farcela.
Dopo molti anni, quell’uomo scampato a quell’inferno, divenne testimone (come Liliana, come Andra e Tati, come Piero, come Nedo e come altri sopravvissuti).
Una quercia, un uomo che attraverso una forza incredibile continua a raccontare e lo farà fino a quando avrà fiato, l’orrore, vissuto solo per la colpa di essere nati!
Ho avuto l’onore, durante il viaggio della Memoria insieme a delle classi del liceo dove lavoro, per due anni di fila, di passare dei giorni con Sami accompagnato da sua moglie Selma, e ascoltare la sua toccante e sofferta testimonianza, proprio all’interno del campo maledetto di Birkenau.
Sofferenza e dolore che ti arrivavano ad ogni parola da lui raccontata, un’esperienza che nessuno di noi potrà mai dimenticare e ancora adesso che è passato tempo, probabilmente, stiamo ancora cercando di elaborare.
Dimenticare, questa è forse la paura di Sami e di tutti i testimoni e sopravvissuti della Shoah.
Dimenticare che solo per la colpa di essere nati, bambini, uomini e donne di ogni età sono stati respinti, allontanati, sfruttati e infine sterminati con un’atrocità assoluta da altri uomini e donne, non solo da chi comandava e guidava gli eserciti, ma anche da tutti quelli che si voltarono dall’altra parte e da tutti quelli che non rifiutarono di eseguire gli ordini (pochi ve ne furono che rifiutarono quell’orrore).
Mai dimenticare. Mai smettere di ricordare e di testimoniare anche quando i testimoni non ci saranno più.
Combattere chi nega questa tragedia, chi crede che queste infami atrocità non siano accadute e chi la paragona a vicende che nulla hanno a che vedere con quanto accaduto allora a ebrei, a rom e sinti, ai disabili, agli omosessuali, ai testimoni di Geova, a prigionieri politici e di guerra.
Nessuno dovrà mai più colpire, umiliare e distruggere qualcuno, solo per la colpa di essere nati!
27 gennaio 2022 Giornata della memoria
Articolo di Rocco Carta
Foto di Paolo Mansolillo