
“Gianni, domani ci sei durante la verifica di storia vero?”
“Si ci sarò!”
“Mi suggerisci?”
Una voce si aggiunge da un altro banco: “Ci suggerisci? Ti paghiamo se vuoi…” – richiesta accompagnata da una risata nervosa.
Quante volte mi è stata fatta questa richiesta, prima di una verifica scritta, in una classe in cui ho lavorato o lavoro. Ho perso il conto!
“Sapete benissimo che non lo farò, ma sarò qui a darvi tranquillità, sostenervi e, se serve, a darvi qualche input per rispondere al meglio alle domande.”
“Uff…”
“Carlo, ora io e te ci prepariamo una mappa concettuale e a casa ripassi dalle pagine che ti ha assegnato il prof.”
“Gianni, queste mappe sono aiuti, non li voglio! Poi perché io sì e i miei compagni no?
“Le mappe servono a ricordarti le parole chiave e i fatti principali, poi dovrai ripassare come tutti e presentarti domani a scuola. Tra l’altro, la mappa concettuale sai bene che la prof la farà portare a tutti. Ricordi come è andata l’ultima volta senza schemi e mappe?”
“Sì, hai ragione. Prepariamole!”
Le verifiche e le interrogazioni dei bambini e dei ragazzi che seguo a scuola, ovviamente parlo per il sottoscritto, ma credo sia così per molte colleghe e colleghi, le vivo anche io.
Sudo, soffro, partecipo a ogni domanda rivolta loro come se fosse uno dei miei esami dati all’università e, ovviamente, tifo per loro, molto più che per la squadra di calcio per cui parteggio o per la Nazionale.
Alle volte, quando si trovano davanti ai prof per una fatidica interrogazione, li immagino proprio come un grande campione che sta per calciare il rigore decisivo della finale dei mondiali. Pallone in mano, tesissimi, andare al dischetto davanti al portiere come Roberto Baggio nella finale mondiale del 1994. Sì, esagero un po’, ma è così che me li immagino, con la speranza di un esito diverso rispetto a quel rigore.
Sono e restano momenti di forte intensità per i bambini e ragazzi che affianchiamo e, inesorabilmente, anche per il resto del gruppo classe.
È inutile girarci intorno, chi fa sostegno, chi svolge la professione di educatore, sulla carta è associato a una ragazzina specifica o a un ragazzino “certificato”, ma rimane comunque a disposizione del resto del gruppo, ove, ovviamente, le docenti e i docenti lo permettono, perché non sempre accade.
Non facciamo finta che non sia così, io sono molto fortunato e vengo coinvolto moltissimo dal corpo docenti con cui collaboro, ma in passato, in altre scuole, non è stato sempre allo stesso modo ed è rimasto così anche per molte colleghe e colleghi di mia conoscenza. È una questione che andrebbe affrontata in maniera più concreta, ma non è ciò che voglio raccontarvi oggi.
Allo stesso tempo, siamo presenti e sosteniamo i ragazzi e il gruppo classe, sempre in collaborazione e d’accordo con le/gli insegnanti di sostegno dell’alunna/o.
Torniamo alla verifica di storia che Carlo e la sua classe doveva affrontare.
Siamo in chiusura di primo quadrimestre e la prova che dovranno sostenere decreterà il voto in questa materia, facendo media con i precedenti voti, durante il consiglio di classe.
Carlo ha una media che si attesta vicino al cinque e mezzo: con una buona interrogazione arriverebbe a conquistare un voto positivo.
Ma lui è un ragazzo esigente e non si accontenterebbe di una sufficienza risicata, a questo giro vuole di più.
Fatica nello studio e nella memorizzazione e storia è una materia che richiede un buon apprendimento mnemonico.
I professori sono al corrente di queste e alcune difficolta che questo ragazzo, catalogato fra i “BES”, ha e preparano le verifiche tenendo presente questi aspetti, nel suo caso, cercando di arrivare a obiettivi minimi di risultato.
Forse, prima di andare avanti con la narrazione degli eventi, visto che ho nominato la sigla, è il caso di spiegarvi che significhi.
“BES”, ovvero bisogni educativi speciali, è la sigla che certifica gli studenti di ogni grado e indirizzo aventi necessità di attenzione durante tutto l’intero percorso scolastico o in una parte del percorso, con motivazioni diverse a volte certificate da una diagnosi ufficiale di tipo medico, risolvibili grazie a interventi mirati e specifici.
Questa sigla è suddivisa in tre grandi aree:
- Disturbi evolutivi specifici tra i quali rientrano i DSA (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia) e l’ADHD, deficit di attenzione e iperattività, certificata da una diagnosi da confermare e rinnovare anche più volte durante il percorso di studi. Hanno e avranno bisogno di un piano didattico personalizzato (PEI)
- Disabilità motorie e disabilità cognitive attestate dal Servizio Sanitario Nazionale, e indicano la necessità dell’insegnante di sostegno e di stilare un Piano Educativo Individualizzato (PEI).
- Disturbi legati a fattori socioeconomici, linguistici e culturali ad esempio la non conoscenza della lingua e diverse difficoltà di tipo comportamentale e relazionale, messe in luce dalla scuola o da altri enti come i servizi sociali o dall’osservazione dello studente. Non è previsto l’insegnante di sostegno e si redige un Piano Didattico Personalizzato (PDP).
Esistono anche i Disturbi aspecifici dell’apprendimento (DAA), difficoltà di apprendimento che emergono causate da fattori diversi, come capacità cognitive ridotte di grado diverso: ad esempio l’autismo, oppure patologie e sindromi diverse, che possono essere di tipo neurologico o organico, sensoriale (a esempio sordità o ipovisione), genetiche come la Sindrome di Down, di Williams e X-Fragile, a volte presenti insieme a capacità cognitive ridotte o anche disturbi di tipo psicologico.
Ora che ho spiegato anche questo, torniamo a Carlo e ai suoi compagni. Durante l’ora d’italiano, abbiamo preparato le mappe e, con l’insegnante di sostegno, l’ora successiva, anche piccoli schemi utili per il ripasso.
Oggi, il Carletto studierà a casa con un altro collega che lo segue nello studio, prima di recarsi agli allenamenti con la sua squadra di calcio.
Prima di uscire da scuola, era un po’ in ansia per questa verifica e per quelle che verranno nei prossimi giorni, tanto da annunciarmi di voler saltare gli allenamenti.
L’ho tranquillizzato, facendogli capire che è importante potersi ritagliare più tempo per lo studio e avere un po’di sana ansia da prestazione: ma cazzarola, gli allenamenti sono e restano un ottimo momento di svago e dopo due anni di lockdown e DAD, ogni possibile istante di movimento per lui e per i suoi compagni è prezioso, oro colato da non perdere. Tra l’altro, sapendo che, saltando gli allenamenti, avrebbe sì studiato un po’, ma sarebbe finito sicuramente ad allenare i soli pollici giocando alla Playstation o attraverso il suo smartphone.
Mi ha sorriso ringraziandomi, andandosene verso casa a passo ciondolante e spedito.
“Il giorno dopo, alle 10.10 del mattino, in trasferta in casa della professoressa di storia, la classe terza C della scuola primaria Dante Alighieri di Milano è scesa in campo, armata di fogli protocollo, penna e bianchetto. La tensione nell’aria era palpabile, quest’oggi ci si gioca il passaggio senza recuperi, al secondo quadrimestre!”
Sì, più o meno facendo il verso a una radio o tele cronaca, la situazione era più o meno questa e io me la sono respirata tutta.
Appena entrato Carlo mi ha chiamato subito a sé.
“Ciao Gianni come va?”
“Io bene e tu? Sei pronto?”
“Sì, un po’ agitato ma ci sono, ho studiato tanto sai e andare agli allenamenti, avevi ragione, mi ha fatto bene.”
“Bene, vedo che mappe e schemi le hai, ora concentrati e in bocca al lupo.”
Appena consegnati i fogli con le domande, qualcuno china il capo sul foglio e parte a spron battuto a rispondere, qualcuno legge e rilegge tutte le domande, altri sudano come se fuori ci fossero quaranta gradi.
Carlo mi chiama subito.
“Gianni, le ho lette quasi tutte ma le domande tre e quattro, non sono sicuro di saperle. Ho paura di non saper rispondere.”
“Carlo quali pensi di essere sicuro di sapere?”
“La uno, quelle a crocette e credo le altre…”
“Benissimo, ora concentrati su quelle e poi torni sulle domande tre e quattro, parti sempre da ciò che sai. Respira e comincia a rispondere aiutandoti anche con le mappe e gli schemi.”
Esegue e si butta sulle domande che pensa di sapere. Io gironzolo tra i banchi e qualcuno dei compagni mi guarda con occhi imploranti. Non posso suggerire, ma dove posso, qualche input e qualche aiuto nei ragionamenti, lo do molto volentieri. Non sono e non sarei capace di restare ad aiutare solo il ragazzino che seguo. I professori lo sanno, si fidano e mi lasciano fare.
Carlo mi chiama poco, più che altro per capire se ha decodificato, giustamente, la consegna e la domanda, cosa che fanno anche altri compagni per essere rassicurati, sia con la professoressa, sia con me.
Manca poco alla fine dell’ora e Carlo mi richiama. Alla domanda quattro, in maniera non proprio precisa, è riuscito a rispondere, la tre la guarda con le mani nei capelli.
“Ok Carlo cosa ti chiede la domanda? Leggiamola insieme di nuovo.”
La domanda chiede di elencare i fattori principali che hanno portato all’emigrazione di molti italiani ai primi del Novecento. Carlo è stanco e non riesce proprio a tirare fuori nulla dal cilindro.
“Carlo ascoltami, ricordi quando l’altro giorno in classe, facendo educazione civica, si parlava di immigrazione?”
“Sì ma cosa c’entra, non capisco, aiutami, sta per finire l’ora!”
“Stai calmo e ascoltami! Perché chi emigra lascia il proprio paese per andare in un altro, magari lontano, prova a rispondermi?”
Carlo si illumina e comincia ad elencare alcuni motivi, e io gli dico di iniziare a scriverli, poi guarda tra gli schemi e inizia a trovare altri dati che potrebbero aiutarlo e completa la verifica.
Il suono della campanella decreta la fine del match tra la prof e i ragazzi. Tutti consegnano e iniziano a confrontare le loro risposte per capire se sono andate bene o male.
Qualcuno esulta e qualcuno inizia a pregare di non aver sbagliato troppo.
Carlo ora sembra tranquillo e il suo pensiero principale, più che sapere se ha risposto giusto o no, è quello di godersi l’intervallo.
Credo sia andato abbastanza bene.
Mi batte un cinque e, con in mano la sua merendina, inizia a chiacchierare con la ragazzina per la quale ha una bella cotta.
Lo saluto ed esco a bermi un caffè alle macchinette. Sudato anche io come se avessi percorso in lungo e in largo, per un’ora, il Maracanà con il pallone ai piedi.
Un gioco di squadra, ma in rete c’è andato Carlo.
Rocco Carta
Anche mio figlio ha un insegnante di sostegno, e sono stata davvero fortunata ad incontrare persone che fanno il proprio lavoro con passione proprio come te, Tre insegnati diversi per ogni anno di medie, ma tutti veramente bravi ….e non è così scontato.. per cui premio la categoria e mi gongolo per la mia fortuna GRAZIE
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Grazie di cuore Valentina, e grazie a questi colleghi e colleghe eccezionali.
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Si parla sempre delle cose che non vanno e mi sembrava giusto donare la mia testimonianza positiva ed il giusto riconoscimento a chi fa bene il proprio lavoro
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