“La situazione è questa, signor De Giorgi. Trovi lei le parole e il modo più consono per comunicare, nei giusti tempi e modi, la notizia ai quattro dipendenti in questione. Ovviamente senza creare scompiglio in ditta con gli altri dipendenti”.
Non riesco a smettere di pensarci, la fanno facile loro: i giusti tempi e i giusti modi. Maledetti! Arrivano, acquistano la ditta e la prima cosa che fanno e vogliono è lasciare a casa dei dipendenti. Non hanno nemmeno il coraggio di comunicarlo loro, a queste persone. I giusti modi e tempi. Qui, con il vecchio proprietario, il lavoro è sempre stato condotto come fosse una famiglia.
Una situazione simile non sarebbe mai accaduta: lasciare a casa qualcuno, tra l’altro vicino alle festività natalizie e sapendo che, visti i limiti di età raggiunti da alcuni di questi dipendenti, faranno fatica a trovare un’altra collocazione.
Stamattina, quando sono salito in ufficio, mi sentivo fiducioso. Non avrei mai pensato che io, il capo del personale da vent’anni, avrei potuto trovarmi di fronte a una situazione così tragica, mai capitata nel corso della mia onorata carriera.
Comandano un omicidio e il compito di esecutore materiale lo lasciano a me. A me che. con ognuna di queste persone, ho passato momenti di vita intensi, pranzi, chiacchiere, discussioni e confidenze, senza mai un litigio o qualcosa che potesse rovinare il rapporto umano e di lavoro. Il vecchio proprietario non avrebbe mai fatto una cosa del genere. A questi invece interessa solo il profitto. Zero umanità.
Durante il consulto avuto prima, non sono mai riusciti a pronunciare la parola che avevano in mente, girandoci attorno e usando sinonimi, come tagli del personale o esuberi. Vigliacchi e spregiudicati allo stesso tempo.
È mezz’ora che sono chiuso in questo bagno e non riesco a uscire. Nausea e un attacco di dissenteria mi bloccano qui dentro. Sento la segretaria del gruppo dirigenziale che prepara i caffè alla macchinetta per quelle persone. Spero vada loro di traverso.
Devo uscire da qui e trovare le parole per comunicare a quelle persone, oramai amiche, l’inevitabile. “I giusti tempi e i modi”.
Mi sciacquo la faccia, mi rimetto in ordine e scendo al reparto contabilità. Mi stanno aspettando, lo so, hanno capito che qualcosa bolle in pentola.
Salgo sull’ascensore mentre le gambe mi tremano. Mi sento in colpa. In quell’ufficio, quando mi hanno dato la notizia, sono rimasto talmente sorpreso da non riuscire ad opporre nessuna resistenza. Vigliacco anche io.
La porta dell’ascensore si apre facendomi apparire di fronte, in fondo al lungo corridoio, l’albero di Natale addobbato dai dipendenti di quell’ala della ditta. Vederlo mi fa aumentare il senso di nausea.
L’ufficio contabilità si trova proprio nel grande ufficio, a fianco dell’albero di Natale.
Vi lavorano sei persone, quattro da molti anni e due assunte solo da pochi. Quello che dovrò comunicare loro è qualcosa che nessuno in questo ufficio ha mai preso in considerazione. Una parola terribile, bandita dal vocabolario di questo luogo. Anzi, solitamente, siamo sempre stati solidali con i dipendenti dove questo tipo di situazioni accadevano più frequentemente, soprattutto in assenza di giusta causa. Cavoli, nemmeno io riesco anche solo a pensare a quella parola. Il mio cervello la rifugge.
Cammino verso la stanza a passi lenti: quattro persone.
Maria è qui da prima del mio arrivo. Gentile, anche se dai modi austeri, e di elevata professionalità. Le mancherebbero cinque anni per andare in pensione.
Laura è entrata in questo ufficio nello stesso periodo in cui sono stato assunto. Ottima dipendente. Separata e con due figli. Sono sempre stato un po’innamorato di lei, ma non ho mai avuto il coraggio di esternarglielo. Ora dovrò esternare altro.
Carlo, un contabile eccezionale, un ossessivo-compulsivo pazzesco e, proprio grazie a questa caratteristica, ineccepibile nelle sue mansioni, pur se qualche volta pesante come collega da avere vicino. Lui è qui da una quindicina d’anni, un figlio ancora in età scolare da mantenere.
Infine, l’archivista Stefania, dieci anni con noi. Simpatica, generosa e preziosa. Sognava di fare l’attrice, invece è finita qui a sistemare scartoffie. Vive da sola, con un mutuo da pagare.
Eccoli lì, ognuno al suo posto, ognuno dedito ai suoi compiti. Da dove comincio? Come glielo dico che…
“Ehi, De Giorgi, com’è andata ai piani alti?” Carlo infrange i miei pensieri. “Hai chiesto un aumento per tutti?”
“Ecco, bravo Carlo, ne avrei proprio bisogno.” Stefania si inserisce facendogli eco.
Ora tutti mi stanno guardando. Loro quattro, più gli altri due colleghi. Cerco di sorridere, con il risultato di mostrare un sorriso forzato che paralizza il loro sguardo ancor più verso il mio. Vorrei scappare, di corsa, senza fermarmi, e invece mi faccio coraggio, devo dirglielo.
“Buongiorno a tutte e tutti. A proposito dell’incontro, ho bisogno di parlare ad alcuni di voi. Potete lasciare un momento ciò che state facendo e seguirmi nel mio ufficio?” Ora si stanno guardando tutti.
“De Giorgi, che è successo? Sembra che ti abbiano ammazzato il gatto. Non mi piace per niente la tua faccia stamattina.” Maria ha intuito qualcosa.
“Vi prego, voi quattro, potete seguirmi? Voi due proseguite tranquillamente con quello che state facendo.” I giusti tempi e modi, certo!
A passo spedito tutti e quattro mi seguono verso il mio ufficio. Chiudo la porta e ora sono solo con loro.
“Allora Mino, a che dobbiamo l’onore di questo invito nel tuo regno, perché è chiaro che il tuo linguaggio non verbale non promette nulla di buono.” Maria non ha intenzione di perdere tempo. Io non riesco a incrociare il suo sguardo.
Prendo un lungo respiro, tirando su la testa. Mi manca l’aria, ma non posso indugiare, devo parlare.
“Come sapete, stamattina mi sono recato nell’ufficio della nuova dirigenza.” Le parole mi escono strozzate, ma escono: “Durante l’incontro, mi hanno elencato come saranno in nuovi piani di lavoro e la nuova mission e, infine, mi hanno anche elencato i pensieri sul personale.” I giusti tempi e i modi. Vadano al diavolo, come posso temporeggiare?
“Eh, Mino, potresti non indugiare ulteriormente?” Laura mi riporta alla conversazione. “Mi sta salendo un’ansia terribile, sembra quasi che tu ci stia per comunicare la chiusura della ditta o addirittura…non riesco neanche a dirlo. Quindi ti prego, non perdiamoci in chiacchiere.” Tutti nella stanza annuiscono.
“Purtroppo, di sopra mi hanno comunicato che verranno attuati tagli al personale…”
“Qualcosa mi dice che i tagli al personale, chiamiamoli così, saranno nel nostro ufficio vero?”
“Sì”
“Quindi, quale sarà il nostro destino? Verremo spostati ad altra mansione, oppure…” Carlo, mentre parla, non mi toglie mai lo sguardo di dosso. Così come stanno facendo le altre. Mi sento avvampare le guance e ho le lacrime agli occhi. Non riesco a non far trasparire le mie emozioni e tenere lo sguardo su di loro. “Cazzo, non è possibile! Vuoi dire che ci lasciano a casa? Dici e dicono tagli, per non dire quell’altra parola. Non ci posso credere, dopo tutto quello che in questi anni abbiamo dato alla ditta!”
Resto paralizzato dietro la scrivania. Dalla mia bocca non riescono a uscire parole e le lacrime ora mi bagnano copiosamente il viso. Stefania piange, abbattuta sulla sedia. Laura si tiene la testa, continuando a dire che è un incubo e per favore di svegliarla. Carlo muove le gambe nervosamente e non mi toglie gli occhi di dosso. Maria mi guarda male e prende la parola.
“Benissimo Mino: i tagli. Quindi siamo un esubero. D’accordo. Una cosa voglio sapere: tu contro questi tagli, visto che nessuno riesce ad usare il termine esatto, che hai fatto? Hai opposto resistenza? Cos’è, siamo troppo vecchi e più costosi da pagare ed è meglio far arrivare qualche giovane stagista, o cosa?” Maria, come un pugile, mi lancia un “uno-due” di colpi che mi fanno barcollare.
“Maria io…”
“Niente Maria io! Rispondi alle mie domande: tu che hai fatto? Non è che per caso hai già la lettera da farci firmare nelle tasche, con una buona uscita come regalo di Natale e “saluti e baci”?”
“Mi dispiace, ma non sono riuscito a contrappormi. Quello chi mi stavano dicendo e chiedendo di fare, mi ha lasciato sorpreso e inerme. Come sapete, è una cosa che non mi è mai capitata e vi giuro che vorrei non essere io a farlo. Ovviamente potete contestare e rivolgervi ai sindacati, ma loro, lassù non cambieranno idea.”
L’applauso di Maria nei miei confronti interrompe quello che stavo cercando di aggiungere.
“E bravo il nostro capo del personale. Con chi abbiamo lavorato tutti questi anni? Come, non eravamo una squadra? Uscite a cena, momenti di vita importanti condivisi e lui che fa, tace. Loro ci danno cortesemente un calcio nel culo e lui zitto. Sei un vigliacco, come loro, che non riesce neanche a usare la parola giusta per quello che ci sta accadendo, o forse che ha ritenuto, come quei grandissimi dirigenti di sopra, di non pronunciarla, pensando che siano più opportuni altri termini.” Mi sta demolendo. Il silenzio nella stanza, ora, è irreale, anche se il rumore della tensione lo copre totalmente. “Certo a lui il posto non lo tocca nessuno! Vado di nuovo in ufficio a finire il mio lavoro. Auguri di buon Natale, Mino.”
“Maria ti prego…”. Sbatte la porta senza neanche girarsi al mio richiamo.
“Mino, quando dobbiamo abbandonare la nostra scrivania?”
“Laura, con l’inizio dell’anno nuovo.”
“Ok, dai ragazzi, torniamo in ufficio e pensiamo a come muoverci. Mino non ci può aiutare o forse non è in grado. Ti abbiamo sempre reputato un buon capo del personale, pronto a risolvere ogni problema. È evidente che al vero primo problema, invece, te la fai sotto e non fai nulla. Grazie mille. Stai tranquillo, per ora agli altri dipendenti non diremo nulla del nostro taglio. Tu e loro potete stare tranquilli. Comunque non illudetevi, combatteremo. Andiamocene”
Escono dalla porta affranti e delusi. Ecco i giusti tempi e modi.
Non ho fatto nulla per impedire ciò che ho appena comunicato. Anzi, mi sono prostrato ai voleri di questi nuovi manager spregiudicati, senza neanche combattere per coloro che, per tutti questi anni di lavoro, sono stati collaboratori e amici preziosi. Mi vergogno di me stesso. Hanno ragione: li ho proprio delusi. Non voglio rimanere seduto qui con le mani in mano.
“Signorina, può comunicare ai dirigenti che nel pomeriggio avrò bisogno di un ulteriore incontro con loro? Devo aggiornarli sulla questione taglio del personale.”
“D’accordo, Signor De Giorgi, appena mi danno un orario la richiamo.”
Perfetto. Ora preparo la mia lettera di dimissioni. Ho un po’ di soldi da parte e, se dovessero accettarle, credo di cavarmela per qualche anno, cercando una nuova occupazione. Non posso permettere ciò che sta accadendo ai miei colleghi. Nessuno, in questa ditta, ha mai pronunciato quella parola o l’ha mascherata con altri termini: esuberi, tagli o la parola innominata, è uguale, qui non sono e non possono essere accettate.
Buon Natale anche a voi.
Rocco Carta
P.S.
Questo racconto ha partecipato al concorso “La venticinquesima ora”. Bisognava scrivere un racconto con una traccia suggerita dalla giuria del concorso in venticinque ore. La consegna era quella di scrivere un testo senza mai citare o far citare dai personaggi una parola. Scelsi “licenziamento“. Ho voluto provare a cimentarmi con questa prova e ho deciso di farvela leggere. Un abbraccio
Come è andato il concorso? Questo racconto è molto avvincente, oltre che, purtroppo, tristemente attuale.
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Grazie!
Al concorso non sono arrivato tra i finalisti (i racconti sono stati oltre i 350).
Ho letto quelli che sono arrivati sul podio e devo dire che sono davvero molto belli e hanno assolutamente meritato.
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In ogni caso complimenti! A me il racconto è piaciuto molto.
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Grazie di cuore
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