Quando tutto rimane sospeso

*Immagine presa dalle carte Dixit

Punti di vista:

Dennis

Ore 8.30 arrivo a scuola con la mamma, ma ho ancora tanto sonno e vorrei tornare a casa.

All’entrata vedo Gianni, il mio educatore, e subito gli corro incontro per abbracciarlo e strofinare la mia faccia sulla sua felpa che è soffice e profuma di buono.

La mamma saluta Gianni e lui ricambia, poi mamma mi fa una carezza e corre al lavoro.

Gianni mi parla: “Dennis dobbiamo andare in classe, ci stanno aspettando.”

Io vorrei rimanere lì fuori con lui, ma mi stacco e comincio a correre e saltellare verso la mia classe.

“Piano Dennis, non correre così veloce, aspettami, lo sai che ho una certa età.”

Suona la campanella.

All’intervallo e alla fine della giornata, quel suono mi piace tanto; quando devono iniziare le lezioni, proprio no!

Non voglio entrare in classe! Vorrei restare a giocare fuori con i miei compagni oppure da solo con Gianni.

Ora Gianni mia ha sorpassato ed è davanti alla porta della classe e mi invita a entrare. Sbuffo e faccio qualche passo verso di lui.

Sento la voce della maestra, è piacevole e lei è sempre molto carina con me e con i miei compagni. Non ho nulla contro di lei, ma io non voglio entrare in classe.

Mi blocco e Gianni mi si avvicina per invitarmi ad entrare.

Mi batte forte il cuore, la maestra ci vede e viene a salutarci, Gianni mi ha messo la mano sulla spalla, ma io urlo, mi divincolo e scappo correndo più forte che posso, senza voltarmi.

Anche Gianni corre e alla fine mi prende.

Provo a cercare di scappare, di staccarmi. Lo picchio, lo colpisco, ma lui mi tiene le braccia senza farmi male.

Tutti si fermano: i bidelli, altri insegnanti e altri bambini. Gli occhi sono tutti su noi due.

Gianni mi parla dolcemente, bloccandomi in un abbraccio, mi dice di calmarmi e di respirare, mi dice che è con me e che possiamo entrare con tutta calma, non ci corre dietro nessuno.

Con calma.

Respiro forte e scoppio a piangere, piano piano gli bagno tutta la felpa e forse gliela sporco anche un po’ con il naso. Mi piace la sua felpa, odora di buono.

Ora mi guarda negli occhi e poi guarda la felpa e fa una battuta che mi fa ridere.

Gli chiedo se è arrabbiato, ma Gianni risponde di no. Menomale.

Scoppiamo a ridere insieme e ci incamminiamo verso la classe, mentre tutti ritornano a fare quello che stavano facendo.

Gianni

Ore 8.30: eccoli lì Dennis e sua mamma puntuali come un orologio svizzero.

Il suo simpatico musetto da piccola canaglia si è accorto di me davanti all’entrata della scuola.

Eccolo che parte alla carica per saltarmi addosso! Vediamo se oggi l’ingresso sarà meno caotico del solito. Speriamo.

Opplà, come al solito mi salta in braccio per strofinare la sua faccia sulla mia felpa, mi sa che deve piacergli proprio.

La madre mi saluta, mi dice due parole, saluta il figlio con un grosso abbraccio e come al solito si incammina velocemente per cercare di arrivare al lavoro puntuale.

“Dennis dobbiamo andare in classe, ci stanno aspettando.”

Bene, stamattina entra di corsa. È un buon segno. Solo che sta andando un po’ troppo veloce.

“Piano Dennis, non correre così veloce, aspettami, lo sai che ho una certa età.”

Ecco la campanella, stamattina siamo anche sincroni al suo suono e siamo quasi davanti alla porta della classe. Uhm, ha rallentato, meglio sorpassarlo e accoglierlo davanti alla porta.

I compagni sono già dentro e la maestra li sta salutando. Denis ora si è bloccato e continua a fare no con la testa e sbuffa, accidenti speravo stamattina potesse andare più liscia, mi sbagliavo. Meglio che mi avvicini a lui.

“Ehi Dennis, dai che si tanno aspettando tutti. Entriamo dai…”

La maestra esce dalla classe e lo saluta, ma lui resta immobile. Ci guardiamo negli occhi e capiamo che sta per avvenire la solita scena mattutina. Devo prepararmi ad agire e adottare a giusta strategia per convincerlo ad entrare.

Gli metto una mano sulla spalla e provo a parlargli, ma si divincola, urla e comincia a correre dalla parte opposta.

Lo rincorro, devo fermarlo prima che si faccia male o che arrivi di nuovo verso l’ingresso.

Lo raggiungo e provo ad abbracciarlo a tranquillizzarlo, ma lui continua a cercare di scappare e mi colpisce. Non mi fa male, ma non è una bella scena. Gli blocco le braccia, cercando di non fargli male e ora lo abbraccio.

Tutti si sono fermati a guardarci, sembra che tutto sia rimasto sospeso, che il mondo intorno a noi, in qualche modo, abbia smesso di girare per qualche istante.

Gli sussurro di respirare, di stare tranquillo, gli dico che sono con lui che tutti siamo con lui e che possiamo entrare in classe con calma.

Con calma.

Bene, ha appoggiato la testa sul mio petto, mi ascolta e respira e inizia a piangere a dirotto, stringendomi forte e snariciandomi addosso. Amen.

Rimaniamo così per qualche minuto, poi gli prendo la faccia con le mani e gli dico: “Quando avrai finito di piangere, strizzando la felpa, allagheremo di sicuro la scuola e la preside ci metterà ad asciugarla per tutto il giorno e tutta la notte.”

Lo faccio ridere, quel sorriso bellissimo, e iniziamo a ridere entrambi.

Mi chiede se sono arrabbiato. No, non sono arrabbiato e non lo dico solo per tranquillizzarlo.

Ci alziamo e ci incamminiamo verso la classe, ci aspettano tutti, mentre, intorno a noi, nulla rimane sospeso, tutto ritorna a girare come sempre.

Rocco Carta

Questo racconto è nato, ritrovando un’esercitazione fatta durante un laboratorio di scrittura educativa in università qualche anno fa.

L’esercitazione consisteva nello scrivere di un caso seguito a scuola, all’interno di una comunità o in assistenza domiciliare.

La docente ci divise in gruppi. Con la collega e il collega con cui mi trovai ad affrontare la prova, decidemmo di scrivere una piccola narrazione partendo dal punto di vista del ragazzino seguito a scuola e da quello dell’educatore.

Ho ritrovato la parte di Dennis, scritta durante l’esercitazione sul quaderno dalle mie mani, su cui ho voluto rimettere mano, allungare la narrazione e cambiare e aggiungere, qua e là qualcosa.

La parte dell’educatore, non l’ho tenuta io e quindi l’ho riscritta affidando il ruolo a Gianni, il protagonista di molti miei racconti (nella parte ritrovata di Dennis il nome dell’educatore è un altro).

Ma è corretto, scrivere e far sapere che questo racconto parte da quell’esercizio e anche doveroso, quindi, ringraziare la collega e il collega che lavorarono con me in quel momento.

Non conosco i loro cognomi e non saprei come rintracciarli, ma solo i nomi: Laura e Daniele e intanto vorrei citarli così (se mai dovessero leggere e riconoscersi sarei felice di citarli anche per cognome).

Ricordo che in quel frangente, ciò che avevamo prodotto piacque tantissimo. Rileggendo la prima parte ho preso la decisione di ispirarmi e lavorarci per farlo leggere a tutti voi.

3 pensieri su “Quando tutto rimane sospeso

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