IL TRE È IL NUMERO PERFETTO

 

 

di Kevin Every

 

 

Il fischio nelle orecchie di Sias si attenuò. Un velo grigiastro gli impastava la vista. La schiena gli doleva contro il pavimento duro.

«Dove diavolo…»

Le assi di legno su cui poggiava i palmi avevano più buchi di un tronco marcescente. Le pareti di pietra perdevano qualche briciolo di polvere ogni tanto, con un fruscio inquietante. La luce delle torce illuminava a stento una sedia rovesciata a terra, rotta, e un tavolo che stava in piedi per miracolo. La credenza nell’angolo era l’unico oggetto solido in quella catapecchia.

Dalla cima del mobile spuntò uno stivale. Il cuoio nero delineava l’intera figura. I muscoli erano compressi nelle vesti attillate, così come i seni. Del volto mascherato, gli occhi erano tutto ciò che Sias potesse distinguere; il bagliore dei fuochi brillava nelle pupille, rese simili a quelle di un demone.

«Ti sei svegliato, finalmente.» Si rigirava tra le mani un pugnale. Lo appoggiò di punta sul legno della credenza vicino alla sua coscia e lo fece piroettare. Stava sorridendo.

«Chi sei tu? Dove mi trovo?»

Il panico si insinuò sempre più in profondità nella sua testa. La porta era scardinata, ma due sbarre incrociate la tenevano su e le toglievano l’unica utilità: aprirsi.

«Così ansioso di andartene. Di Già? Non ci siamo neanche presentati.»

Forse stando al gioco avrebbe guadagnato del tempo per pensare a una via di fuga. «Io mi chiamo…»

«So benissimo qual è il tuo nome, Sias. Tu sei l’inventore di Coldart, nell’est. Sei l’uomo che ha perso sua moglie e le sue figlie in un incendio mentre discuteva con il re delle sue innovative macchine da guerra da usare contro i Sargar.»

Il cuore gli martellava nel petto e nelle orecchie.

«Come hai fatto a trovarmi? È da due anni che mi nascondo e le guardie del Re non mi hanno mai trovato.»

«Non vuoi sapere piuttosto chi sono io?» Il tono petulante poco si sposava con la vista di quel pugnale che continuava a girare. La lama proiettava la luce smorta, come un faro in miniatura.

«Ti prego, non uccidermi… costruirò quelle macchine per te se mi lascerai andare dopo…»

«Oh, ma non hai capito proprio nulla, sciocchino! Sì, sono un’assassina, ma non voglio i tuoi progetti. Voglio farti un regalo.»

Lanciò il pugnale. Sias chiuse gli occhi.

Il tonfo sordo e la vibrazione del pavimento non erano ciò che si aspettava. L’arma era conficcata tra le dita del suo piede nudo. Non l’aveva ferito nemmeno di striscio.

«Conosco il colpevole di quell’incendio. E so che non sei tu.» Gli indicò dritto dietro le sue spalle.

La luce mancava quasi del tutto nell’angolo in cui tre persone erano accozzate per terra come sacchi di patate. Le mani erano legate e un cappuccio uguale a quello dei condannati a morte copriva i loro volti.

«Quelli sono i principali sospettati dell’incendio doloso della tua casa.»

Non era possibile.

Le ginocchia gli ballarono e dovette impegnarsi per farle fermare. «Come…?»

«Io so chi è il colpevole dei tre, ma non te lo dirò. Avrai lo stesso tempo da dedicare a ognuno di loro per interrogarli. Poi dovrai scegliere chi uccidere.»

L’assassina appoggiò sul limite del mobile una clessidra.

«U…uccidere?»

Lo fissò dritto negli occhi. «Che cosa saresti disposto a fare per scoprire la verità?»

«Io non sono un sicario… non… posso…»

Lei rise di gusto. «Rimarrai sorpreso da quello che sei capace di fare, credimi. Ma atteniamoci al copione, d’accordo? Scopri il primo presunto colpevole.»

Sias non riuscì a muoversi. Gli occhi demoniaci non battevano ciglio.

La donna rovesciò la clessidra a testa in giù con un colpo che gli ferì le orecchie.

Così corse dalla persona più vicina e tolse il cappuccio, inzuppato di qualche sostanza puzzolente. «Lord Aremir!» Gli diede due schiaffi per svegliarlo.

Il supervisore di Coldart spalancò gli occhi. Urlò qualcosa, ma il bavaglio fece uscire solo un mugolio inarticolato. Continuava ad agitarsi sbattendo le gambe.

«Fermo, fermo! Aspetta!» Sias gli tolse il bavaglio.

«Non uccidermi, ti prego!» Gridava come un ossesso. «Ti farò avere tutto il denaro che desideri!»

«Shh! Calmati!»

La bocca si spalancò. «Tu… pensavo fossi andato a morire lontano dopo quello che è successo.»

L’assassina bussò sul legno della credenza. «Il tempo passa! Perché il Lord non ti racconta che è un sostenitore segreto dei Sargar?»

«C… cosa? No, io…»

La clessidra aveva già esaurito metà della sua sabbia.

Sias prese Aremir per le spalle. «Qualcuno ha ucciso le mie figlie… e Maud. Ti prego, ho bisogno della verità.»

«Io non so niente! È stata una tragedia, ma l’incendio è cominciato da una candela caduta. Il capitano della guardia ha indagato!» Tentò di prendergli le mani, ma le corde lo trattennero. «Sei innocente, non devi più nasconderti! Torna in città, comincia una nuova vita.»

«Tempo scaduto!» L’assassina gli puntò contro una balestra leggera. «Imbavaglialo e rimettigli il cappuccio.»

Lord Aremir fece resistenza, ma Sias non aveva le mani legate come lui. Gli rimise il cappuccio sulla faccia e questi cadde subito con la testa a penzoloni.

«Ingegnoso, vero?» L’assassina si toccava le labbra coperte dalla maschera con un dito guantato. «Si chiama Acqua della Notte. Così possiamo evitarci il baccano di avere tutti e tre quei piagnucoloni svegli allo stesso tempo.»

Girò di nuovo la clessidra.

Il secondo uomo aveva un viso tutto pelle e ossa che Sias non conosceva.

Lo svegliò, ma quello non urlò. Invece lo guardò fisso con il volto rilassato.

«Qualunque cosa sia, possiamo risolverlo da persone civili.» Aveva un tono amabile, che lo calmò in qualche modo.

L’assassina rise. «Non farti ammaliare dalla voce di un mago. È il caso di fare le presentazioni, sì? Quello è Fision, il mago di corte di Coldart. I candidati per il suo ruolo vengono scelti dal Re in persona, per tenere d’occhio i vari supervisori. Ma nessuno sa che quest’ometto in particolare è un membro dei Sargar.»

Per la prima volta, il mago perse l’espressione tranquilla. «Queste sono solo illazioni! La tua gilda di tagliagole non fa altro che sputare menzogne ogni dì!»

Sias chiuse gli occhi un momento per recepire tutte le informazioni e farsene qualcosa. «Tu sai dell’incendio avvenuto in città due anni fa?»

«E come potrei ricordarlo? I miei doveri spesso mi portano lontano dalla città, anche per mesi interi.»

L’assassina sghignazzò. «Chi è che sputa menzogne ora?»

Sias si accostò al mago. «Non mentire. Quella donna sa tutto. E ora ti prego, dimmi quello che sai.»

«Io… non avrei mai pensato di bruciare viva la tua famiglia… Avrei ucciso solo te, e senza farti soffrire.»

Quelle parole lo colpirono come un pugno.

«Avresti voluto uccidermi…»

«Ma non l’ho fatto! Dopo l’incidente…»

«Non è stato un incidente!»

«Perdonami… dopo… l’incendio, tu sei sparito e io ero convinto che non avresti più costituito una minaccia.»

«Chi pensi che sia stato?»

Il mago deglutì. «Lord Aremir. Non avevo alcun controllo su di lui. Di certo avrà ricevuto ordini dal mio popolo, ma l’unico colpevole, quello che ha davvero condannato a morte la tua famiglia, è lui.»

Un applauso, lento e strascicato.

«Bravo!» L’assassina tornò con le mani in grembo. «Bellissima interpretazione! Ora, il tempo è scaduto. Rimettilo a nanna.»

«No, aspetta!»

Sias non lo ascoltò. Gli ficcò il bavaglio in bocca e il cappuccio in testa, spingendoglielo contro il naso. Tornò il silenzio.

«Avvincente, non trovi?»

«La mia vita sta cadendo a pezzi una seconda volta. Come credi che trovi tutto questo?»

Spie, traditori e omicidi. E le uniche vittime erano le sue bambine. E Sias era dovuto scappare perché temeva di essere il capro espiatorio perfetto da condannare.

L’assassina alzò la clessidra, ma non la capovolse subito. «Chi credi che sia stato, per ora?»

«Fa qualche differenza?»

«Fa tutta la differenza, sciocchino.»

«Io… non lo so…»

«Oh, bene allora! Proseguiamo!»

Sias tolse il cappuccio al terzo prigioniero.

Questa volta riconobbe all’istante il suo volto. Dopo tutti quegli anni era rimasto invariato.

«Non voglio crederci…» Sias si alzò in piedi. «Tu! Tu potresti essere stata!»

La scrollò per le spalle. I capelli castani che aveva amato accarezzare da giovane ondeggiarono a casaccio.

«Tu, puttana! Non avrei mai immaginato che avresti potuto essere colpevole!»

«Sias!» Loan aveva gli occhi spalancati dalla paura. «Lasciami andare, ti prego! Perché mi fai questo? Ci eravamo separati, finalmente!»

«Tu non mi hai mai voluto lasciar andare!» Sias la scrollò ancora. «Non sopportavi l’idea di vedermi con un’altra donna! Hai minacciato prima Maud, poi me! Con un coltello! Me lo ricordo ancora bene!»

«Ero giovane e spaventata, mi dispiace! Sono cambiata, ho sposato un brav’uomo e mi sono dimenticata di te!»

Sias si fermò. La lasciò e fece un passo indietro. «Ti sei sposata?»

«Sì, ho conosciuto mio marito due anni dopo che hai lasciato il villaggio con Maud. Lo amo moltissimo! Ti prego, lasciami andare…»

«Basta così.» L’assassina batté le mani una volta.

«Dammi un po’ più di tempo», disse Sias.

«Ho detto basta così!»

Sias ubbidì. Loan si dimenò come un’ossessa. «No!» continuava a gridare.

Sistemarla fu più difficile che con gli altri due, ma alla fine cadde di nuovo in un sonno innaturale.

«Bene!» L’assassina era tornata gioviale. «Ora che hai sentito tutte e tre le versioni, devi decidere.»

Scese dalla credenza, raccolse il pugnale conficcato a terra e glie lo porse.

L’elsa era fredda. Gli strumenti con cui lavorava gli avevano sempre dato una sensazione di sicurezza, ma quello no. Era uno strumento di morte, per distruggere, non per costruire.

«Io non posso farlo…»

«Oh, sì che puoi. Credimi, è molto semplice. La carne è molle. Dimmi soltanto, chi è il colpevole?»

Loan… Era sempre stata una pazza vendicativa e lui aveva avuto la sfortuna di innamorarsene da ragazzo. Poteva aver covato per così tanto tempo?

Aveva detto di essersi sposata e di aver voltato pagina.

Lord Aremir, allora. Sosteneva i Sargar, così aveva detto l’assassina, ed era stato lui a organizzargli l’incontro col Re. Era quello con più informazioni su di lui. E il capitano della guardia era ai suoi ordini. Poteva far fare il lavoro sporco a chiunque e poi far partire una finta indagine.

E poi c’era quel mago… Della casa di Sias non era rimasto più niente. Il fuoco aveva divorato tutto con una violenza spropositata. Che fosse stato un fuoco magico?

I pensieri si mischiavano uno con l’altro. Immagini contorte si formavano davanti ai suoi occhi: una giovane Loan che col sorriso sulle labbra gettava una torcia, un tizio dalle lunghe vesti che evocava una fiammata dal nulla, un gruppo di soldati che bloccavano il passaggio nelle strade mentre altri appiccavano l’incendio.

«Io non sono sicuro.»

L’assassina alzò un sopracciglio.

«Non posso rischiare di uccidere un innocente.» Lasciò cadere il pugnale a terra, che rimbalzò un paio di volte.

«Che ne dici se ti do una spintarella?» Gli puntò la balestra contro.

«Vivere col rimorso di non aver dato giustizia alle mie bambine sarebbe peggio che morire.»

L’assassina abbassò l’arma. «Interessante. Allora vorrà dire che dovrò usare il mio asso nella manica.»

Andò alla credenza e aprì le ante. Accese il moncherino di una candela rossa all’interno e si fece da parte, con un gesto di invito ad avvicinarsi.

La candela illuminava poco. Forme nere frastagliate erano sparse sullo scaffale.

Sias aprì meglio un’anta per far entrare un po’ di luce delle torce.

Un osso annerito era adagiato con cura su un cranio carbonizzato. Altri due teschi più piccoli stavano insieme, usati come piedistallo per una cassa toracica molto minuta poggiata sopra.

«No…» Cadde in ginocchio. Poteva quasi toccare lo scaffale con la punta del naso. «Non può essere…»

L’assassina parlò con un tono dolce. «Le ho trafugate dalle tombe.» Gli accarezzò la testa, insinuando le dita scricchiolanti tra i suoi capelli. «So che non hai potuto partecipare al funerale, perciò ho pensato di fartele vedere per un’ultima volta.»

I singhiozzi lo scuotevano con violenza. Allungò una mano verso il teschio di una delle sue bambine. La superficie era porosa e da una crepa si staccò un pezzetto d’osso, finendo dentro la scatola cranica.

Sias si spinse i pugni contro gli occhi, schiacciandoli il più possibile. Il dolore fisico gli penetrava fino alla nuca, ma era solo una piccola distrazione dallo strazio.

Urlò con quanto fiato aveva in corpo. Urlò di nuovo, esaurendo tutto. Tutta la sua vita.

L’assassina si inginocchiò accanto a lui e gli poggiò il mento su una spalla. «Che cosa saresti disposto a fare per vendicare la tua famiglia?» Il bisbiglio materno lo ricondusse alla realtà.

«A uccidere.» L’aveva realizzato solo ora.

L’assassina si alzò con lentezza, si allontanò e tornò subito con il pugnale. Glie lo porse dal manico.

La lavorazione a intarsi dell’elsa gli diede una certa quiete. La quiete della perfezione che trovava solo nel suo lavoro, quando ogni singolo componente combaciava come se tutto fosse un unico pezzo.

Non era uno strumento di distruzione. Era uno strumento per riparare. I torti subiti si sarebbero sistemati.

Si alzò.

«Allora, tesoro?»

Sias non rispose.

Si avviò a passi veloci verso i tre prigionieri. Quello più a destra era Lord Aremir.

Gli pianto il coltello dove pensava si trovasse un occhio. Poi colpì l’altro, e la fronte.

Le risa dell’assassina aumentarono di intensità a mano a mano che proseguiva.

Passò al petto, aprendo tanti fori che gli schizzavano sangue addosso.

Gli altri due prigionieri non avevano reagito.

Tolse il cappuccio al mago, ma non lo svegliò con uno schiaffo. Gli tagliò la gola da lato a lato, poi ci infilò il pugnale fino all’elsa. Le mani gli si inondarono di sangue, rendendo scivolosa la presa.

L’assassina si stava sbellicando. Un tonfo alle spalle gli suggerì che era caduta in ginocchio dalle risate.

Era rimasta Loan. La bellissima e pazza Loan.

Le pugnalò i seni. Una volta, due. Smise di contare i colpi che stava dando.

Cadde a terra esausto. L’aria gli entrava nei polmoni riempiendolo di una potenza che non aveva mai sentito prima. Era così… leggero.

Aprì gli occhi.

I tre corpi giacevano scomposti, maciullati dalle sue stesse mani. La pozza di sangue che si allargava a dismisura gli raggiunse i piedi, le gambe e i fianchi.

Si risollevò da terra.

«Come ti senti, tesoro?»

Sias inspirò a fondo.

«Libero… Fresco…»

L’assassina gli avvolse un braccio attorno alle spalle, si abbassò la maschera e gli passò un dito sulle mani zuppe di sangue. La carezza voluttuosa gli provocò un tremito.

Lei si disegnò una linea di sangue sulle labbra, poi fece lo stesso su di lui.

«Sei disposto a sentirti così per il resto della vita? Vuoi donare la stessa libertà a tante altre persone che come te soffrivano?»

Strinse il pugnale nella mano. Non uno strumento per riparare. Più un pennello, con cui dipingere le opere dell’arte più alta di tutte: la pace.

«Sì, lo voglio.»

L’assassina lo baciò sulla bocca e lui si lasciò andare con trasporto a quel sapore metallico e a quelle labbra soffici.

 

Vi presento Kevin Every, giovane scrittore di 24 anni che ringrazio per averci regalato questo ottimo racconto. 

IMG_20190812_113613.jpg

Kevin è uno scrittore fantasy, il primo volume della sua trilogia Imperium Tenebrae è già disponibile!
Si tratta di un dark/low fantasy.

Il titolo è: “Imperium Tenebrae vol.1: L’Eredità degli Ang’His” e potete trovarlo e acquistarlo a questo link:

 

 

 

 

 

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...