Signora oscurità

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“Tonight there’s fallen angels

and they’re waiting for us down in the street

tonight there’s calling strangers

hear them crying in defeat

let them go, let them go, let them go

do their dances of the dead (let’em go right ahead)”

Drive all night – Bruce Springsteen

 

Buio.

Era buio pesto. Così buio da far pensare che al suo interno ci fosse il nulla. Che poi, a pensarci bene, come cazzo è fatto il nulla? Che forma ha? Come si palesa?

Gli si era fermata la macchina, in un luogo lontano da tutto, forse un luogo dimenticato anche da Dio.

“Porca troia”, continuava a pensare, “che io sia stramaledetto! Avrei dovuto fermarmi a fare rifornimento”.

 Invece, per arrivare in anticipo ad un fottutissimo appuntamento con il suo capoufficio, aveva deciso di tirare dritto e non fermarsi alla prima pompa di benzina. Tanto era appena entrato in riserva!

Si era aspettato di sedersi in un bar, sotto casa di quel demente, per bere un aperitivo e parlare del nuovo incarico che gli era stato affidato. Invece, quel testa di cazzo che aveva fatto? Aveva prenotato un tavolo nel paese a fianco, in un bar che lo aggradava di più e, visto che aveva la macchina in autofficina, mi aveva chiesto di accompagnarlo con la mia! Avevo acconsentito alla richiesta.

Eravamo arrivati al bar, ci eravamo seduti e, dopo avere ordinato due Negroni sbagliati, avevamo iniziato a parlare di come riorganizzare il settore dell’ufficio che mi era stato affidato. Durante la chiacchierata, mi aveva chiesto di tacere un minuto iniziando a raccontarmi che, di lì a qualche minuto, sarebbe arrivata la escort più figa di tutto l’universo, che lui aveva prenotato per un paio d’ore di sesso sfrenato.

Ovviamente, essendo sposato e con figli, aveva usato la scusa dell’uscita noiosa con quello sfigato del suo impiegato, per avere la possibilità di usufruire di quell’incontro senza insospettire la moglie. Quanto al sottoscritto, ero stato liquidato con la frase di merda: “Siamo uomini vero? Quindi mi puoi capire no? Faresti così anche te”.

Poi, mi aveva dato una pacca sulla spalla, assicurandomi che il discorso lavorativo che avevamo abbandonato sarebbe stato ripreso l’indomani, e aveva chiosato dicendomi di non preoccuparmi su come sarebbe tornato, perché avrebbe preso un taxi per rientrare.

“Sto ebete: cazzo vuoi che me ne frega di come torni a casa!”

Prima di andarmene, mi aveva chiesto se volevo lustrarmi gli occhi con la foto della strafiga che si vantava di avere noleggiato. Avevo risposto che non mi interessava augurandogli la buonanotte, mentre mi guardava con una faccia che sembrava offesa o quantomeno stupita.

Mi ero messo in macchina, schifato e anche un po’ incazzato. Ero uscito di casa controvoglia ed avevo rinunciato a vedere in tv la prima puntata dell’ennesima stagione della mia serie preferita. Lo so, conduco una vita monotona, in solitudine, in compagnia solamente del mio gatto.

Può sembrare incolore, ma è la mia cazzo di vita. Poi uno stronzetto arrivato in alto, solo perché è il genero del proprietario dell’azienda, mi invita fuori per parlare di cose serie e mi liquida usandomi per coprire la sua tresca schifosa. Grandissima merda!

Ed eccomi qua, la macchina ferma, il cellulare spento dopo aver scaricato la batteria e un cazzo di nessuno che passa da questa strada.

Che avevo fatto? Per una buona mezz’ora ero rimasto sul ciglio della strada ad aspettare che qualcuno passasse da quelle parti. Poi, non so il perché, quel muro di oscurità che il bosco incorniciava, mi aveva invitato, come una sirena, ad attraversarlo. Avevo deciso di farmi coprire dal suo manto, entrandoci completamente. Ho tante paure, ma se esiste una cosa di cui non ho paura: è proprio l’oscurità.

Del resto sono stato costretto ad abituarmi ad essa e ad avere rapporti con lei, fin da piccolo.

Sono un orfano. I miei genitori, mi hanno abbandonato davanti alla porta di un orfanotrofio quasi quarantotto anni fa. Da quel momento, sono stato cresciuto dal personale di quel luogo.

Provate a indovinare quale fosse una delle punizioni che veniva inflitta a noi ospiti (così venivamo chiamati quando veniva qualcuno a visionarci per una possibile adozione), quando non ci comportavamo come i nostri aguzzini volevano?

Esatto, venivamo rinchiusi in una stanza completamente buia, a volte per molte ore. All’inizio, avevo paura, ma alla lunga, avevo iniziato ad abituarmi, apprezzando la compagnia della signora oscurità. Mi sentivo protetto da quel manto con cui mi avvolgeva; inoltre mi permetteva di fantasticare, senza che nessuno potesse vedermi, senza essere giudicato per qualunque cosa facessi, senza chiudere gli occhi. Infatti, i miei sogni migliori, li avevo fatti in quella stanza.

Ero rimasto in quel luogo fino alla maggiore età. Non avevo trovato mai nessuno disposto ad adottarmi. Da piccolo non ero poi così male, poi, crescendo, in effetti, ero diventato un po’ gracile e anche un tantino brutto (oddio, non è che adesso sia diventato Brad Pitt!). Se aggiungiamo anche che ero un attaccabrighe e venivo bollato come lo “strano” del luogo, questo non facilitava di sicuro la mia uscita da quella prigionia. Comunque mi avevano fatto studiare ed ero riuscito a prendere il mio diploma da ragioniere, senza infamia e senza lode. Mi avevano trovato un appartamento in affitto e un posto in un ufficio, quindi, mi avevano dato un calcio in culo e tanti saluti.

Finalmente ero libero, da solo, senza imposizioni e punizioni.

Oh, certo, avevo provato anche ad avere una vita sociale. Ma che volete, io sono un asociale per natura. Le compagnie mi vanno strette e anche con le donne non è andata altrettanto meglio. Nel corso degli anni ho avuto qualche relazione, ma nessuna si è mai trasformata in qualcosa di stabile. Del resto, chi ci starebbe tutta la vita con una noia mortale come me? La mia compagnia non l’ha mai voluta veramente nessuno. A parte lei, l’oscurità.

Ma torniamo alla nostra storia. Mentre stavo camminando, sentivo ancora avvolgermi da quel manto protettivo di quando ero bambino. Avevo sentito prendermi per mano. Mi ero tranquillizzato. Il fruscio del vento tra le foglie aveva fatto, in questo nuovo nostro incontro, da sottofondo. Mi ero lasciato andare camminando lentamente fino ad arrivare di fronte a un ruscello. Per poco non ci ero cascato dentro.

Mi ero piegato e lavato il viso con l’acqua fredda, sdraiandomi e lasciandomi cullare dalla dolcezza del momento. Altri, forse, sarebbero stati spaventati. Io no.

“Signora Oscurità cela più che puoi, sotto il tuo manto, questo corpo agli occhi della grande Madre Terra.

Tu, signora Luce, ti prego, oggi tarda ad arrivare, perché adesso sto bene. Sto veramente bene…”

Commissariato di polizia: archiviamo il decesso n° 223 del signor. Gabriele Persichetti, di anni 47, avvenuto alle 23.30 del 28 ottobre 2015, a causa di un probabile colpo di sonno mentre si trovava al volante della sua automobile. Nessun parente da avvisare.

FINE

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