Pop Music

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“Non voglio cambiare il mondo, lascio che siano le mie canzoni ad esprimere le sensazioni e i sentimenti che provo e ho provato.”

Freddie Mercury

L’ispirazione, ha bisogno di trovare quella.

Sono mesi che invoca una qualsiasi musa per aiutarlo a trovare un tema, una parola o una frase da cui partire. Vuole cambiare il suo stile, scrivere qualcosa di diverso da ciò che l’ha condotto al successo.

Già, perché quel primo e unico suo alloro lo ha connotato, è diventato la sua pesante croce e la sua poca delizia: non riesce a scrollarselo di dosso. Tuttavia, sa di dovere molto a quell’album e a quei singoli tratti da quel lavoro finiti tutti nelle postazioni alte della Hit Parade, a cominciare dalla bellissima villa in cui vive e dalla possibilità di mantenere un tenore alto di vita, grazie ai diritti su quei brani e qualche esibizione dal vivo che ogni tanto gli commissionano.

Ma di cosa e di chi, in queste prime righe, si sta parlando?

Per raccontarvelo bisogna, come si fa nei film al cinema, fare un salto indietro di qualche anno e farci aiutare da quello che i registi e sceneggiatori chiamano flashback.

La scena ci porta nello scantinato di un ragazzo, in un pomeriggio di giugno. Alcune webcam sono accese e puntate su un piccolo palcoscenico, creato alla bell’e meglio per l’occasione. Inquadrati vi sono tre ragazzi, uno con in mano una chitarra elettrica, uno dietro una consolle da DJ e, di fronte ad un microfono, lui, Michele Brosetti, studente del V anno del Liceo Carducci di Milano, prossimo alle prove di maturità di quell’anno scolastico, soprannominato da tutti “Michy Bro”.

L’idea è quella di postare su youtube un video in cui lanceranno una canzone che Michele ha composto, dal titolo “Sto preso male”. Una canzone che lui ha provato a inviare a molte case discografiche, da cui non ha mai ricevuto risposte positive. A questo punto, decide che non c’è più nulla da perdere ed eccolo pronto a lanciare il suo brano sul web, sperando in un buon numero di visualizzazioni e poi chissà…

Il brano è una sequela di frasi fatte e di luoghi comuni, ma con un’energia e un’allegria molto contagiose.

Insomma, testo elementare che rimane in testa, musica e video che fanno venir voglia di ballare qualsiasi cosa tu stia facendo. Potrebbe essere tranquillamente un ottimo tormentone estivo.

Lo diventa!

Dopo il lancio del video, le visualizzazioni crescono di ora in ora; i ragazzi che lo ascoltano invitano altri a farlo e il link viene postato, solo nei primi due giorni, da migliaia di persone sui social network.

Il gioco è fatto. Stampa e media iniziano a parlare di questo fenomeno mediatico e le case discografiche cominciano a fare a gara per accaparrarsi i diritti della canzone. Non passa neanche una settimana e Michele firma il suo primo contratto discografico che, oltre al lancio del brano in tutti gli store digitali e la stampa del CD del singolo, gli dà anche la possibilità di produrre un album.

Diventa, in quell’estate, un enorme successo, un record di vendite. Non esiste nessuno in Italia che, amando o odiando il brano, non lo conosca o non l’abbia ascoltato almeno una volta. Nelle spiagge, nelle radio e nelle discoteche viene fatto ascoltare più e più volte. La gente si diverte tantissimo a ballarlo e difatti vengono inventati dei passi appositi per accompagnare il brano. Lo si può veder canticchiare e ballare dai bambini fino agli anziani.

Intendiamoci, diventa un grande successo, ma i critici sono spietati nei confronti del brano e del personaggio.

Poco male, alla fine dell’estate e dopo essersi aggiudicato svariati riconoscimenti, Michele ultima l’album dal titolo “Bro”. 

Tempo un giorno e l’album si trova immediatamente al primo posto delle classifiche e rimane, insieme ad almeno quattro singoli estratti dallo stesso, per mesi, nelle prime posizioni di vendite. Un anno e mezzo dopo, esce anche il secondo album “Bro II”: inutile dire che diventa un altro grande successo di vendite.

Siamo tornati nella stanza, Michele ha lanciato spartiti e matite contro il muro. Ora è seduto per terra, da solo, con le mani sulla testa. Gli manca il respiro e dondola avanti e indietro con il busto. Sta male e, oramai, sta così da tempo. Si sente una nullità e, nonostante sia un personaggio che ha raggiunto una certa fama, si sente uno che nella vita non ha combinato nulla di buono. Si alza e va verso l’armadietto dei medicinali, ha bisogno di calmarsi. Prende la boccetta di Valium e ne assume una dose di venti gocce. Poi torna a sedersi per terra nella stessa posizione di prima. Fuori, c’è il sole e il profumo della primavera che arriva dalle finestre aperte, invadendo la casa. Il telefono suona: dopo un certo numero di squilli a vuoto, parte la segreteria telefonica. È la madre di Michele che lascia un messaggio al figlio per essere richiamata quanto prima. Lui lo ascolta, ma decide di rimanere in quella posizione a fissare il vuoto. Deve recuperare un attimo di serenità, ne ha bisogno. Pensa e ripensa, il cervello non riesce a fermare i pensieri, gliene propone continuamente.

Dopo una buona mezz’ora, riesce ad alzarsi e a recarsi in cucina, dove decide di prepararsi un pranzo. Nella testa, inizia a farsi spazio l’idea di lasciare il mondo della musica. In fondo, lui, un diploma ce l’ha e potrebbe anche tornare a studiare.

Lui, dopo i primi successi, avrebbe voluto, con le sue canzoni, lanciare dei messaggi e scrivere qualcosa che potesse portare i suoi fans a iniziare dei seri ragionamenti sulla vita. Non voleva più essere il cantante delle “canzonette felici”, come l’aveva apostrofato un DJ di una famosa radio. Voleva dimostrare di essere un cantautore dai testi profondi. Ci aveva provato, ma il risultato era stato pessimo.

Abbiamo bisogno di un altro flashback per raccontare ciò che accadde un paio di anni prima:

Lo schermo gigante, nella sala di casa Brosetti è fermo su Rai News, la casa è piena di persone: discografici, artisti di vario tipo, ragazze e ragazzi che fissano la tv in rigoroso silenzio. Michele e il suo manager sanno già quello che la televisione sta per annunciare. La giornalista, al ritorno dalla pubblicità, riprende la linea pronta ad annunciare la lista dei partecipanti nella categoria Big del Festival della canzone italiana di Sanremo. Appena declama il nome di Michy Bro, la sala esplode in un boato e Michy viene sommerso da baci e abbracci. Un giornalista, un’ora dopo, si reca ad intervistarlo per chiedere le sue sensazioni dopo quell’ annuncio.

Michele vorrebbe che questa partecipazione al Festival fosse uno spartiacque fra quello che musicalmente ha prodotto fino a quel momento e quello che verrà in futuro. Il brano s’intitola “Riscatto sociale” e parla di tematiche molto forti, quali la ricerca di un lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e le difficoltà che la vita reale impone a un giovane. Insomma, qualcosa di diverso da quello che ha cantato fino a quel momento. La critica e il pubblico sono davvero molto incuriositi da questo cambio di stile. L’album uscirà dopo il festival e conterrà canzoni tutte scritte da Michele: parleranno di problemi sociali e ci sarà qualche canzone d’amore. È molto soddisfatto del lavoro svolto.

La sera dell’esibizione sul palco dell’Ariston è parecchio agitato, cammina avanti e indietro dietro le quinte del palco.

Il presentatore lo introduce come la star discografica più importante degli ultimi anni. Lui suda freddo, ma, appena sente urlare il suo nome, si catapulta sul palcoscenico fra gli applausi. L’orchestra attacca la base del brano e dalle prime note si capisce subito che il pubblico in sala e quello davanti alla tv, sta ascoltando qualcosa di diverso da quello a cui questo ragazzo aveva abituato.

Michele chiude gli occhi, nel momento in cui inizia a cantare, nonostante gli abbiano detto di non farlo, e li riapre qualche secondo dopo. Esegue il brano senza sbavature, la voce è calda e limpida. Appena si conclude l’esibizione, il pubblico in sala applaude, ma non è un’ovazione. Michele esce dal palco con una sensazione di freddezza e si chiude nel suo camerino. Il giorno seguente le critiche dei giornalisti del settore sono spietate più del solito.

Anche i riscontri del pubblico e delle vendite del singolo, lanciato dopo l’esibizione, sono esigue. I fans sulla sua pagina Facebook, tranne uno zoccolo duro, lo criticano per questo cambio di stile. Michele, dopo un attimo di smarrimento, decide comunque di non abbattersi e di concentrarsi per le altre due serate di esibizioni al Festival: inizia a pensare alla promozione dell’album, anch’esso appena uscito, convinto che lascerà il segno.

Per la cronaca: Michele arriva penultimo nella gara e l’album vende davvero poco. È l’inizio di una forte crisi che, come abbiamo visto, ancora si trascina.

Voleva entrare nella storia della canzone, voleva iniziare a essere annoverato nel club dei cantautori; soprattutto, avrebbe voluto lasciare qualcosa di positivo con il frutto della sua arte, al pubblico, ai suoi fans. Invece sente di aver prodotto solo merda.

Inizia a chiudersi in sé stesso e, a un certo punto, inizia ad avere forti attacchi di panico che lo fanno finire più volte in Pronto Soccorso. I giornali si scatenano, iniziando a supporre che il ragazzo possa fare uso di stupefacenti o essere dedito al consumo di alcool.

Tenete presente che Michele non solo è astemio, ma non ha neanche mai fumato una sigaretta o una canna in vita sua.

È un ragazzo che fino ad ora non ha avuto dipendenze. È fidanzato con una bellissima ragazza, ma di lì a poco, anche quel rapporto va in frantumi. I giornalisti di gossip, sciacalli come al solito, mettono in prima pagina, per settimane, la notizia di quel fine rapporto. Devastando ulteriormente Michele che vorrebbe solo silenzio intorno a lui.

Il telefono squilla ancora e, questa volta, con una certa lentezza, Michele va a rispondere. È ancora sua madre che chiama tutte le mattine per accertarsi delle sue condizioni. I suoi genitori sono molto preoccupati del momento difficile che il ragazzo continua ad attraversare e del continuo rifiuto di ascoltare consigli altrui. Lo hanno inviato a due psicoterapeuti per cercare di essere aiutato a venire fuori da questa “depressione”.

Purtroppo, le sedute non vanno bene. Con la prima terapeuta non riesce a entrare in empatia. Con il secondo, decide di abbandonare la terapia dopo il primo incontro, a causa di una richiesta di autografo appena entrato in studio.

Questa volta, i suoi genitori presumono di aver trovato la terapeuta giusta per lui. È giunto il momento di comunicarglielo.

La terapeuta fa parte di uno studio associato e, quando il padre ha parlato direttamente con la dottoressa delle problematiche del figlio, si accerta e rimane compiaciuto del fatto che la stessa, non sa chi sia il figlio. Un punto segnato a favore.

Il ragazzo non è entusiasta di recarsi da un’altra psicoterapeuta, ma sta male davvero e vuole uscirne fuori. Quindi decide di tentare la sorte.

Arriva nello studio due giorni dopo, verso sera, in preda a un attacco di ansia. Le gocce di valium, prese prima di uscire, non hanno sortito l’effetto desiderato. Appena entrato, si siede nella sala d’attesa, cercando di evitare gli sguardi degli altri pazienti. Viene additato subito da una signora e un ragazzo seduti di fronte a lui. Una volta preso coraggio, anche se un po’ intimidito, il ragazzo si alza e decide di chiedergli l’autografo.

Come al solito Michele non si rifiuta di farlo, anche se gli tremano le mani per l’agitazione. Si scambiano un sorriso e, nel frattempo, la segretaria invita Michele a entrare nello studio della dottoressa.

Viene accolto da una terapeuta con un viso molto luminoso nonostante, dalla stretta di mano e dalla voce, dia l’aria di una persona austera. Il setting è minimale: neanche un quadro e una sola libreria colma di testi di psicologia alternati ad altri sul cinema che, evidentemente, è una grande passione della dottoressa, più due poltrone una di fronte all’altra e un tavolino. Michele rimane stupito di non trovare il classico lettino da psicoanalista, capendo che non è, per forza un segno distintivo di ogni setting.

Si presentano e immediatamente dopo, Michele inizia a parlare a ruota libera di ciò che l’ha portato in quella stanza e di quella depressione che non vuole smettere di tenergli compagnia, da lui soprannominata: la scimmia.

Appurato che la dottoressa non sa davvero chi sia, inizia a raccontarle di quell’estate e del boom di quel singolo, delle copertine dei giornali, dei fans che l’osannavano e delle cose che gli scrivevano nelle lettere e nelle mail, dei giudizi fin da subito negativi della critica e dell’amore incondizionato che invece gli riservava una fetta di pubblico; del tentativo di lasciarsi dietro le spalle quello stile, a suo dire, semplice, di composizione musicale, per arrivare a qualcosa di più raffinato e ricercato, e del pessimo risultato ottenuto. Insomma, tutto quello che lo ha portato a entrare in crisi, provocandogli un calo d’ispirazione e la voglia di non proseguire in quel mondo. Quasi alla fine di quella prima ora e mezza di colloquio, dichiara quello che è diventato un tarlo per lui, ovvero: “Cosa sto lasciando con la mia musica al pubblico? Perché ho avuto successo, ma sento dentro di me di essere un prodotto usa e getta?”  

Prosegue, aggiungendo di non riuscire a scrollarsi di dosso quell’etichetta di artista popolare che, a suo dire lo fa passare un po’ da saltimbanco. 

La dottoressa non lo interrompe mai. Alla fine della seduta decide di presentare quale percorso il suo paziente dovrebbe seguire se lo vorrà. Come prima cosa, dovrebbe recarsi in studio almeno due volte la settimana e firmare il contratto e i dati della privacy. Null’altro.

Nonostante la dottoressa non sia intervenuta nemmeno una volta a interrompere il fiume in piena di parole che Michele le ha riversato, lui sente di aver trovato la persona adatta per affrontare, finalmente, un percorso introspettivo e avere finalmente supporto per trovare le risposte che sta cercando e, magari, far diventare quel dolore che prova qualcosa di utile.

Dal canto suo, la dottoressa decide di documentarsi un po’, ascoltando qualche composizione del suo paziente e guardare qualche video.

Michele torna in studio due giorni dopo e riprende il racconto di quell’ultimo anno, fermato dalla dottoressa ogniqualvolta lei sente il bisogno di capire meglio quanto le sta raccontando, oppure per porre qualche domanda. Lui esce ogni volta da quello studio svuotato, ma in uno stato di calma apparente che non disprezza affatto.

Continua ad andare in questo modo per altre sedute.

Un giorno Michele si trova nella sala d’aspetto dello studio associato. In quel momento si trovano altre persone che devono essere ricevute dalle colleghe della dottoressa in altre stanze. Tra le persone in attesa, un bambino di due anni non smette di agitarsi e di piangere nel passeggino.

Sua madre ha riconosciuto Michele e lo ha fissato per un po’, incredula di trovarsi con lui nella stessa stanza. Tuttavia, le urla del suo bambino l’hanno riportata a interessarsi a lui.

Inizia a rovistare nella borsa, alla ricerca del cellulare. Lo trova e cerca di far partire la suoneria nel tentativo di far calmare il bambino.

La suoneria che esce da quello smartphone, è proprio “Sto preso male”, la canzone che ha reso celebre Michele. Alle prime note del brano, il bambino si tranquillizza e inizia a seguire il ritmo con le manine e la testa. Purtroppo, il cellulare è scarico e si spegne di colpo, causando il pianto immediato del bambino e le imprecazioni della madre. Michele, che ha osservato tutta la scena, si fa coraggio, si alza e si dirige verso il bambino e, senza alzare troppo la voce per non disturbare le dottoresse che sono nei loro studi, inizia una versione a cappella della sua canzone. Lo sguardo del bambino viene attirato, con un misto di stupore e gioia sul viso, dalla performance del cantante. Anche le altre persone dello studio iniziano a seguire l’esibizione.

Il bambino balla nel passeggino e le persone attorno seguono il brano canticchiandolo, scandendo il ritmo e muovendo i piedi. Quella esibizione sta rendendo allegro quel piccolo pubblico. All’interno di quella sala d’aspetto, improvvisamente, si respira serenità.

In quell’istante, la dottoressa esce per chiamare Michele.  Appena si rende conto di quello che sta accadendo, decide di non interrompere l’esibizione, osservando il tutto. Finita la performance, tutti applaudono Michele che per tutta risposta fa un inchino al bambino e agli astanti. A quel punto si sente chiamare dalla dottoressa. La vista della sua terapeuta che lo guarda sorridente lo fa arrossire.

Entrano in studio, ma, questa volta, è la terapeuta a prendere la parola, concentrando il discorso su quanto accaduto lì fuori e cercando di ottenere risposte su che tipo di sensazioni gli ha provocato riuscire a calmare quel bambino.

Michele verbalizza la sua felicità per averlo tranquillizzato, cercando di scusarsi del disturbo. La dottoressa lo interrompe sottolineando, forse, quello di cui lui non riusciva a rendersi conto. Attorno a quella esibizione improvvisata, vi è un’area di positività mista a felicità.

Michele rimane in silenzio a pensare a quelle parole. La dottoressa riprende parola riportandolo alle domande che, alla prima seduta, ha tirato fuori. La risposta, probabilmente, è contenuta in quell’esibizione estemporanea avvenuta in quell’anticamera. Il ragazzo continua a non capire, ma non emette parola.

Quello che la dottoressa vuole far capire, tornando alle sue canzoni, ai suoi testi, è che sono in grado di lasciare un messaggio nemmeno così banale.

Le sue canzoni causano momenti di spensieratezza, fanno muovere le persone all’interno di un ritmo e in qualche modo donano felicità.  Poco importa se non sono canzoni dal significato profondo o se non sono minimamente paragonabili ai testi di un De Andrè o di un Guccini: a chi le ascolta va bene così. Quindi, tutto ciò che ha composto ha un senso e trova una collocazione, generando allegria e spensieratezza.

Michele si illumina e inizia a respirare a fondo. La dottoressa continua, restituendo al suo paziente che in un mondo pieno di brutte notizie, di problematiche enormi da risolvere, di giornate lunghe da portare a termine, forse, anzi certamente, è utile qualcosa che riesca a regalare alle persone qualche momento di svago, di stacco dalla quotidianità. Qualcosa di “quasi” terapeutico. Per creare canzoni diverse ha ancora, sicuramente, tempo.

Si congedano dandosi appuntamento alla settimana successiva. Michele lascia lo studio con una faccia da ebete in estasi, simile a quella di John Belushi nel film “Blues Brothers” quando vede la luce.

Michele esce da quella seduta e comincia a incamminarsi per il parco che si trova nelle vicinanze dello studio. Si sente libero come oramai non lo è da anni.

Non ha più peso sul petto e non gli tremano le mani. La dottoressa è riuscita a rispondere alle sue domande. Ora, sente un bisogno urgente di recarsi a casa nel suo, di studio, e impugnare la penna e la chitarra per iniziare a comporre un po’ di musica popolare, della sana Pop music.

Banale, forse sì, ma capace di regalare felicità. Questa, tutto sommato, non è una cosa da poco.

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