Oltre il maschile tossico, 25 novembre

Oggi non basta ricordare.
Oggi dobbiamo guardarci dentro,
scoprire chi siamo stati
e chi, troppo spesso, continuiamo a essere.

Il maschile tossico non nasce all’improvviso:
cresce come una radice,
pezzo dopo pezzo,
parola dopo parola.
È quel “non piangere”, “sii forte”,
“non fare la femminuccia”
che cade sui bambini come una colpa,
che insegna a temere la fragilità,
a sospettare la gentilezza,
a chiamare dovere ciò che è solo paura.

È lo sguardo che pesa le donne,
che le misura, le chiude, le trattiene.
È la bugia che dà gloria all’uomo che conquista
e vergogna alla donna che sceglie.
È l’amore trasformato in gabbia,
la cura travestita da controllo,
la voce che sussurra “non chiedere mai”
ma urla il proprio silenzio di fronte alla violenza.

Il maschile tossico è un sistema.
Ma un sistema non è destino:
si può sciogliere, riscrivere,
spezzare come una catena troppo vecchia.

E questo compito chiama noi uomini:
le nostre parole tra amici,
le mani con cui educhiamo i figli,
il modo in cui ascoltiamo,
in cui cediamo spazio,
in cui accettiamo di cambiare
anche quando nessuno ci vede.

Oggi non celebriamo una data:
rinnoviamo un impegno.
Dire “basta” alla violenza
vuol dire dire “basta” alle radici che la nutrono:
alle battute facili, ai silenzi comodi,
alle scuse ripetute, agli stereotipi stanchi,
al privilegio che non vuole guardarsi allo specchio.

Cambiare non è un gesto:
è un cammino quotidiano,
un lavoro lento,
una promessa che comincia in noi
e non finisce con noi.

Perché la violenza non è la nostra origine,
ma solo una crepa nella storia.
E le crepe, se ci si lavora,
possono diventare varchi
da cui entra finalmente il cambiamento.

Rocco Carta

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